"Come un altro, o Antifonte, si compiace di un bel cavallo, o di un cane, o di un uccello,
così e ancor di più, io traggo piacere dai buoni amici,
e se so qualcosa di buono.. lo insegno loro".


venerdì 30 settembre 2016

Storiografia: Gli storici del ciclo: Erodoto, Tucidide e Senofonte.

I Greci cominciarono a raccontare la propria storia antica e contemporanea fin dal V secolo a.C. Nonostante l’esistenza di modelli storiografici molto diversi, alcuni degli autori più abili, collegandosi all’opera di un proprio predecessore o facendo riferimento ad esso, andarono di fatto a costituire una narrazione storica cronologicamente continua. Si è parlato, in riferimento a tale fenomeno di “ciclo storico”; tre furono gli autori del ciclo: Erodoto (V secolo a.C.), Tucidide (V secolo a.C.) e Senofonte (V-IV secolo a.C.). Di questi tre autori, che hanno coperto un arco temporale complessivo di quasi 130 anni, la tradizione manoscritta ci ha consegnato l’opera completa.

Erodoto, abile novellatore, fu autore de “Le Storie”. “Le Storie”, in 9 libri, sono in parte dedicate al racconto dei viaggi compiuti dall’autore nei territori dell’impero persiano; in parte al racconto dei fatti relativi alle cosiddette guerre persiane. In questo senso la prima parte dell’opera risulta essere prodromica alla seconda. L’arco temporale coperto dalle Storie è quello compreso tra il 490, anno della spedizione di Dario in Grecia, e il 478 a.C, anno della battaglia di Capo Micale, atto conclusivo delle guerre persiane.

Tucidide fu autore de “La Guerra del Peloponneso”, in otto libri. A differenza di Erodoto, che fu un abile novellatore, Tucidide fu un uomo di profonda razionalità e predilesse sempre uno stile essenziale e rigoroso. Il resoconto dei fatti narrati ne “La guerra del Peloponneso”parte dal 431 a.C. e si interrompe col 411 a.C.

Senofonte, autore delle Elleniche (in sette libri), fu un continuatore di Tucidide: se la narrazione Tucididea si interrompe col 411, quella senofontea inizia proprio con quell’anno. Luciano Canfora, in  verità, ha già da tempo dimostrato che il primo libro delle Elleniche appartiene ancora a Tucidide. Le Elleniche di Senofonte si interrompono con la battaglia di Mantinea del 362 a.C.
Erodoto, Senofonte e Tucidide coprono complessivamente un arco di tempo compreso tra il 490 a.C. e il 362 a.C.


Gli storici del ciclo costituirono per secoli un vero e proprio canone; studiare la storia greca significava leggere le loro opere. 

giovedì 29 settembre 2016

#AppuntiVeloci: Karl Julius Beloch.

Karl Julius Beloch fu un importante antichista tedesco vissuto tra il 1854 e il 1929. Beloch fu tra i più illustri rappresentanti di quella generazione di docenti tedeschi che, in seguito all'unità di Italia, vennero ad insegnare nel nostro paese: Beloch, in particolare, insegnò a Roma. All’epoca gli studi sull’antichità in Italia erano ancora fortemente legati all’erudizione; fu proprio Beloch a proporre un nuovo metodo storico più vicino alle scienze statistiche: Celebri sono i suoi studi a carattere demografico sul mondo greco, romano e italico. Attraverso il proprio innovativo metodo, Beloch riuscì a prendere le distanze da Teodoro Momsen, il patriarca del metodo tedesco in Italia, paese che frequentò molto, non per insegnarvi ma per raccogliere epigrafi latine; curatore del CIL (Corpus Iscritionis Latinarum) fu uno storico della civiltà romana con cultura impostata sul diritto.
Tra le opere più importanti di Beloch ricordiamo:
  •          ‘’La Campania’’, I ed. tedesca 1879, II ed. tedesca 1890. I ed. italiana 1889, prima monografia regionale del mondo storico;
  •          “Storia greca”, in tedesco, mai tradotta in italiano fatta eccezione per il primo libro,
  •           “Storia romana”,
  •           “Lega italica”.


L’importanza di Beloch è quella di essere stato un grandissimo antichista convertitosi al positivismo. Fortemente innovatore in questo senso, fu profondamente legato alla Campania e in particolar modo alla città di Sorrento.

mercoledì 28 settembre 2016

Appunti: La religione micenea.

I documenti rinvenuti relativamente alla civiltà micenea sono di carattere esclusivamente contabile e amministrativo. Essi costituiscono, nonostante ciò, fonti utili per la comprensione della dimensione religiosa di questa civiltà. Sulle tavolette in lineare B i teonimi (nomi delle divinità) sono frequenti nella misura in cui gli Dei risultano destinatari di offerte i cui dettagli vengono annotati sull’argilla (es. ‘’10 litri d’olio a Poseidone’’). I teonimi sono, quindi, sempre al dativo. I più frequenti sono i nomi di Zeus e di Poseidone, quest’ultimo particolarmente presente nelle tavolette di Pilo. Nelle iscrizioni, frequenti sono anche teonimi relativi a divinità che non trovano un corrispettivo omerico, come ad esempio ‘’Ma-na-sa’’. Inoltre, fondamentale caratteristica della teonimia micenea è l’esistenza delle cosiddette ‘’coppie consustanziali’’: ogni divinità ha il proprio corrispondente maschile o femminile. Zeus è contemporaneamente Dive e Divìa, Poseidone è contemporaneamente Poseidon e Posidaeia. La conclusione è che il mondo miceneo ha un pantheon di divinità differente da quello omerico. Ancora una volta è perfettamente dimostrato che il mondo miceneo non si identifica con quello omerico.  In più, sebbene la teonimia micenea preveda il nome di Poseidone, non è detto che egli assolvesse alla funzione di Dio del mare esattamente come per Omero. Esiste una continuità di nomi, ma non è detto che esista una continuità di funzioni. 

martedì 27 settembre 2016

#Versione: Marziale – Epigrammata IX, 68 – Che maestro insopportabile!

Quid tibi nobiscum est, ludi scelerate magister,
invisum pueris virginibusque caput?
Nondum cristati rupere silentia galli:
murmure iam saevo verberibusque tonas.
Tam grave percussis incudibus aera resultant,
causidicum medio cum faber aptat equo;
mitior in magno clamor furit anphitheatro,
vincenti parmae cum sua turba favet.
Vicini somnum non tota nocte rogamus:
nam vigilare leve est, pervigilare grave est.
Discipulos dimitte tuos. Vis, garrule, quantum
accipis ut clames, accipere ut taceas?

************************************
Cosa hai a che fare con noi, scellerato maestro,
uomo inviso ai fanciulli e alle fanciulle?
I galli dalle ritte creste non hanno ancora rotto il silenzio:
già tu tuoni con un molesto strepito e con sferzate.
Tanto cupamente risuonano i bronzi percossi sulle incudini,
quando il fabbro sistema a metà di un cavallo (la statua di) un avvocato;
più mite il clamore furoreggia nel grande anfiteatro,
quando la sua folla acclama il gladiatore vincente
Noi vicini chiediamo - non per tutta la notte - di dormire:
infatti stare svegli è cosa tollerabile, ma starlo a lungo è cosa insopportabile.
Lascia andare i tuoi allievi. Vuoi, o chiacchierone, ricevere
per tacere quanto ricevi per gridare?

lunedì 26 settembre 2016

Appunti: il III secolo in Grecia.

Nel 294 a. C. Demetrio Poliorcete diventò re di Macedonia, portando a compimento il progetto politico paterno.
Negli anni ’80 Demetrio Falereo venne sconfitto e catturato da Seleuco.
Sempre negli anni ’80 emerse la figura di Lisimaco, il generale alessandrino cui era stato assegnato il governo della Tracia. Spinto anch’egli dal desiderio di riunificare il grande regno di Macedonia, venne sconfitto nel 281 nella battaglia di Corupedio, che sancì la fine dell’età dei diadochi e l’inizio dell’età degli epigoni. Per Grecia degli epigoni si intende la Grecia dei discendenti dei primi diadochi alessandrini. Durante l’età degli epigodi i vari regni ellenistici si autonomizzarono definitivamente: in Macedonia si insediarono gli Antigonidi nella persona di Antigono Gonata. Costui fu responsabile della vittoria che i Greci riportarono sui Celti nel momento dell’invasione celtica della Grecia negli anni ’70. I Celti, disseminati su tutto il territorio europeo, erano un popolo di tradizioni nomadi e mercenarie parlante una lingua indoeuropea. Noti anche come Galli o Galati venivano considerati produttori di frequenti e intensi fenomeni migratori, come quella che interessò la Grecia negli anni ’70 del III secolo: passando per le Termopile arrivarono addirittura a Delfi. Antigono Gonata fu tra i responsabili del respingimento di queste orde barbariche, molte delle quali si rifugiarono però in Anatolia, fondando la Galazia (di qui Galati), dove furono fronteggiati dagli Attalidi.

SPARTA NEL III SECOLO.

Nel III Secolo Sparta conobbe uno straordinario rivolgimento interno, attribuito all’intervento di due sovrani tradizionalmente conosciuti come “re riformatori”, non colleghi nella diarchia, ma sovrani in due mandati consecutivi: Agide IV e Cleomene III. La loro vita plutarchea è messa in parallelo a quella dei Gracchi.  I tre provvedimenti fondamentali dei sovrani riformatori spartani furono:
  1. Divisione egualitaria della terra: in quest’ambito nasce la tradizione di Licurgo comunista che si legge, ad esempio, in Giustino. I re riformatori ripresero il mito di Licurgo riattualizzandolo.
  2. Abolizione dell’eforato
  3. Ripresa della politica peloponnesiaca.

Nacquero due leghe: la lega Achea e la lega Etolica. La lega Etolica ebbe un atteggiamento fondamentalmente più democratico rispetto alla lega Achea, in cui giocò un importante ruolo il condottiero Arato di Sicione e nella quale militò anche i padre dello storico Polibio.
I re riformatori riattivarono la politica peloponnesiaca esauritasi a Leutra. Tale ripresa fu testimone dello scontro tra Sparta e la lega Achea, che si sostituì allo storico nemico di Sparta, Argo, nella contesa del Peloponneso. La lega achea si alleò con la Macedonia, all’epoca sotto il controllo del sovrano Antigono Dosone (leteralmente “che darà”, ad indicare la sua natura di reggente per Filippo V, con cui si sarebbero incontrati i Romani). Antigono Dosone organizzò la Lega Ellenica, che sconfisse definitivamente gli Spartani nella battaglia di Sellasìa del 222 a.C., che segnò la fine della stagione dei re riformatori.

Nel 217  a.C. fu siglata la pace di Naupatto, l’ultima ad essere siglata tra Greci primi dell’arrivo dei Romani.

domenica 25 settembre 2016

Appunti: Dopo Alessandro Magno, la Grecia dei diadochi.

DOPO ALESSANDRO.
321 a.C, accordi di Triparadiso: Dopo la morte di Alessandro Magno, attraverso gli accordi di Triparadiso, il grande impero macedone venne diviso tra i suoi generali. Cominciò così l’età dei diadochi, letteralmente “dei successori”, dei generali macedoni che imposero sulle popolazioni indigene una classe dirigente greca: in questo consistette l’ellenismo, la più grande espansione greca mai effettuata in senso culturale. Nacque una territorialità del tutto particolare:

L’Egitto venne affidato al generale Tolomeo Lago, che diede avviò alla dinastia Lagide. L’Egitto lagide, il regno ellenistico più indipendente, ci ha consegnato una grandissima quantità di papiri.

L’Asia venne affidata al generale Seleuco, che dietde avviò alla dinastia seleucida.

La Frigia e l’Esponto venero affidate ad Antigono Monoftalmo, letteralmente “con un solo occhio”, così chiamato per via dell’occhio mancante, perduto in battaglia.

La Tracia venne affidata a Lisimaco.

Il regno di Pergamo (città stato) fu affidato ad Attalo, che avviò la dinastia degli attalidi.

La situazione in Macedonia rimase nelle mani di figure come Cratèro, Perdicca e Antipatro.

Subito dopo la conclusione degli accordi di Triparadiso, già nacquero dei contrasti tra i diadochi che ne erano stati protagonisti. Uno dei primi diadochi che comincerà a mettere seriamente in pericolo gli equilibri di triparadiso sarà Antigono Monoftalmo.

Subito dopo la morte di Alessandro, nel 321, la Grecia si ribellò: vedi guerra lamiaca. Alla fine della guerra lamiaca i Macedoni sconfissero gli Ateniesi ribellatisi e Antipatro collocò una guarnigione macedone ad Atene: si tratta della prima punizione inflitta dai macedoni agli Ateniesi.

DEMETRIO FALEREO.
317-307 a.C.: decennio di Demetrio Falereo. Demetrio Falereo venne posto ad Atene dal re macedone Cassandro. Era un allievo di Teofrasto, a sua volta allievo prediletto di Aristotele. Con Demetrio Falereo ci troviamo un decennio con un peripatetico al potere. Aristotele trasformò definitivamente le categorie di oligarchia e democrazia: anche etimologicamente, sappiamo che l’oligarchia è il governo di pochi e la democrazia il governo di molti; per Aristotele, invece, oligarchia è il potere di chi ha, dei ceti abbienti, la democrazia è il potere di chi non ha, dei ceti non abbienti. In questo senso il governo di Demetrio Falereo interpretò quest’istanza aristotelica: il decennio 17-7 è di fatto quello dell’Atene definita benpensante, borghese, dei ceti abbienti. Demetrio Falereo portò i ricchi al potere: la democrazia venne abolita, le forme assembleari cedettero al governo dei ceti abbienti. Il commediografo Menandro offre nelle proprie opere un’immagine assai eloquente del decennio faleraico ateniese. La commedia nuova di Menandro fu una commedia basata su tematiche come famiglia, equilibrio, giusto senso: una commedia pulita, estranea al turpiloquio. Il motivo della famiglia, in particolare, fu carissimo a Demetrio Falereo.


Subito dopo la conclusione degli accordi di triparadiso, già nacquero dei contrasti tra i diadochi che ne erano stati protagonisti. Uno dei primi diadochi che cominciò a mettere seriamente in pericolo gli equilibri di Triparadiso fu Antigono Monoftalmo. Avendo avuto in affidamento solo la Frigia e l’Esponto, un piccolo regno, si pose il problema della riunificazione del regno di Alessandro: si configurarono, tra i diadochi di Alessandro, orientamenti autonomistici (si veda il caso dell’Egitto) ma anche legittimisti, frutto della volontà di presentare se stessi quali eredi di Alessandro e del suo grande regno frazionatosi dopo Triparadiso. Antigono Monoftalmo aggredì i Seleucidi del regno di Siria  e i Lagidi d’Egitto, con l’intenzione di assoggettare entrambi i regni al proprio controllo. In quest’operazione fu coadiuvato dal figlio Demetrio Poliorcete (in greco “assediatore”, epiteto guadagnato in seguito al fallito assedio di Rodi) che nel 307 abbattè il governo di Demetrio Falereo ristabilendo la democrazia ad Atene. Generalmente le linee legittimiste (quale quella perseguita da Antigono Monoftalmo) favorivano la democrazia ad atene; le lineee non legittimiste  (quale quella perseguita da Antipatro) favorivano l’insediamento ad Atene di governi non democratici. Demetrio Poliorcete è anche celebre per essere entrato ad Atene con la moglie pretendendo onori divini. Nel 301 a.C, nella battaglia di Ipso, Antigono Monoftalmo perse la vita.

IL III SECOLO.
Nel 294 a. C. Demetrio Poliorcete diventò re di Macedonia, portando a compimento il progetto politico paterno.
Negli anni ’80 Demetrio Falereo venne sconfitto e catturato da Seleuco.
Sempre negli anni ’80 emerse la figura di Lisimaco, il generale alessandrino cui era stato assegnato il governo della Tracia. Spinto anch’egli dal desiderio di riunificare il grande regno di Macedonia, venne sconfitto nel 281 nella battaglia di Corupedio, che sancì la fine dell’età dei diadochi e l’inizio dell’età degli epigoni. Per Grecia degli epigoni si intende la Grecia dei discendenti dei primi diadochi alessandrini. Durante l’età degli epigodi i vari regni ellenistici si autonomizzarono definitivamente: in Macedonia si insediarono gli Antigonidi nella persona di Antigono Gonata. Costui fu responsabile della vittoria che i Greci riportarono sui Celti nel momento dell’invasione celtica della Grecia negli anni ’70. I Celti, disseminati su tutto il territorio europeo, erano un popolo di tradizioni nomadi e mercenarie parlante una lingua indoeuropea. Noti anche come Galli o Galati venivano considerati produttori di frequenti e intensi fenomeni migratori, come quella che interessò la Grecia negli anni ’70 del III secolo: passando per le Termopile arrivarono addirittura a Delfi. Antigono Gonata fu tra i responsabili del respingimento di queste orde barbariche, molte delle quali si rifugiarono però in Anatolia, fondando la Galazia (di qui Galati), dove furono fronteggiati dagli Attalidi.

Appunti: Alessandro Magno.

Alessandro Magno salì al trono grazie all’abilità e all’ambiziosità della madre Olimpiade, proveniente da una tribù dell’Illiria, i Molossi. Al pari del defunto padre, il primo atto da sovrano fu garantirsi l’equilibrio interno del proprio regno intraprendendo, a tal fine, guerre contro le popolazioni macedoni ribellatesi. Tebe venne rasa al suolo: secondo la tradizione sarebbe rimasta in piedi solo la casa del poeta Pindaro. Sparta risultava all’epoca essere sempre più evanescente. Alessandro si propose di portare avanti la politica paterna stabilita nel convegno di Corinto: liberare i Greci dai Persiani. Quando gli Ateniesi, gli Spartani di Lisandro, di nuovo gli Ateniesi, I tebani, I Macedoni di Filippo avevano dichiarato la volontà di combattere i Persiani, avevano sempre inteso la volontà di liberare LA IONIA dalla loro presenza. Filippo non aveva mai progettato il totale e definitivo annientamento dell’impero persiano, ma unicamente la liberazione della costa anatolica. Quando Alessandro intraprese la propria spedizione, incontrò non poche difficoltà, in primo luogo le controversie esplose col re di Rodi Memnone. Giunto in Anatolia si recò a troia, quasi sentendosi un novello Agamennone, col mito della guerra di Troia come guerra di liberazione della Ionia. Con l’intento di liberare le coste anatoliche, partì dalla Frigia. All’epoca a Gordio esisteva  un tempio frigio nel quale era presente un carro che si riteneva essere appartenuto al mitico Gordio, eponimo della città. In questo carro c’era un nodo che, secondo la tradizione, nessuno sarebbe stato in grado di sciogliere all’infuori di Gordio stesso, una volta tornato. Giunto presso il tempio Alessandro sciolse il nodo, tra l’acclamazione generale dei sacerdoti presenti. Questo episodio è rilevante nella misura in cui il percorso di conquista di Alessandro fu favorito soprattutto dalla sua capacità di accattivarsi il favore dei cleri locali. La prima importante vittoria fu quella riportata nella battaglia del Granìco, in occasione della quale inviò a Delfi numerose spoglie a nome di tutti i Greci meno gli Spartani. Seguì la battaglia di Isso, nei pressi dell’attuale Siria, dopo la quale, secondo la tradizione, Alessandro subì un drastico mutamento nei comportamenti e nei costumi: ad Isso fini, politicamente parlando, l’Alessandro grecofilo continuatore della politica paterna e nacque Alessandro Magno. L’obiettivo diventò da allora raggiungere il cuore della Persia: non si gettò a capofitto verso il proprio obiettivo, ma discese lungo la costa, passando anche per la Fenicia e compiendo il difficilissimo assedio di Tiro. Giunto in Egitto, sotto il controllo dei Persiani, si rivolse ai grandi centri templari egiziani, notoriamente intolleranti rispetto al tacco persiano. Si recò nell’oasi di Siwa , presso l’oracolo di Zeus Ammone, dove si fece riconoscere come figlio di Zeus per intercessione della madre Olimpiade. A Menfi si fece addirittura riconoscere faraone. Combatté e vinse la battaglia di Gaugamela. Besso, satrapo di Battriana e Sogdiana,  dopo aver assassinato il legittimo sovrano persiano, Dario III, che era stato sconfitto da Alessandro Magno nella battaglia di Gaugamela, si autoproclamò imperatore di Persia. La tradizione vuole che Alessandro, punito Besso, si sia mostrato fortemente benevolo nei confronti della moglie e delle figlie dell’assassinato sovrano. A Gordio Alessandro si era presentato come risolutore dell’attesa del mitico eponimo, in Egitto era stato riconosciuto figlio di zeus e faraone, dopo Gaugamela divenne il nuovo Gran re, andando a sostituire il sovrano di Persia. La tradizione antica, che interpretò moralisticamente gli eventi, insistette sul fatto che Alessandro si fosse barbarizzato al punto di adottare una linea orientalizzante: fece in modo che i propri generali sposassero donne del posto nelle celebri nozze di Susa e sposò egli stesso una principessa battriana, Rossane, da cui ebbe anche un figlio, Alessandro IV. L’orientalizzazione di Alessandro, effettivamente avvenne, ma non la si deve leggere però in senso moralistico: il sovrano si era reso conto del fatto che distruggendo l’impero persiano senza assicurarsi una continuità rispetto al passato sarebbe stato per lui impossibile consolidare il proprio potere. Nell’esercito macedone, tuttavia, la linea orientalizzante adottata dal sovrano suscitò non pochi malcontenti: si ricordi, a tal proposito, la celebre congiura dei paggi ordita col proposito di attentare alla vita di Alessandro.


Ci sono due episodi che sintetizzano l’evoluzione dei rapporti tra Alessandro e la Grecia all’indomani della spedizione antipersiana: la richiesta ai Greci degli onori divini per il suo amico Efestione e il cosiddetto rescritto di Susa o Decreto di Nicànore, con il quale Alessandro chiese alle città greche di far ritornare gli esuli. Nel convegno di Corinto Filippo aveva assicurato alle città greche che lo status politico sarebbe rimasto quello immediatamente successivo alla vittoria di Cheronea; col decreto di Nicanore Alessandro si contrappose al precedente provvedimento paterno, manifestando l’intenzione di disegnare una Grecia totalmente diversa. Entrambi i provvedimenti, la richiesta degli onori divini per Efestione e il decreto di Nicanore, vennero accolti più che negativamente in Grecia, avendo essi messo in discussione i ceti tradizionali che avevano visto il proprio potere confermato e garantito da Filippo. 

sabato 24 settembre 2016

Storia greca, Appunti lezioni: 03\03\2016: LEZIONE2.

CIVILTA’ MINOICA:
Per civiltà minoica si intende la civiltà di Creta antica. Creta è un’isola che si trova nel Mediterraneo orientale a nord dell’Egitto e a sud del Peloponneso, ossia dell’area continentale greca.Il termine “minoico” fu coniato dallo scopritore di questa antica civiltà, Sir Arthur Evans, un archeologo del’Inghilterra (sud della G.B.) vittoriana vissuto a cavallo tra ‘800 e ‘900 che, indirizzato verso Creta dall’ archeologo ed epigrafista italiano Federico Halbherr, nel 1900 condusse gli scavi che portarono alla luce, presso la città di Cnosso, le rovine di un antico palazzo. Il termine “minoico” fa riferimento al mitico re cretese Minosse che, come osservò Plutarco (scrittore e biografo greco vissuto sotto l’Impero Romano tra il I e il II secolo d.C) gode di una fama ambigua, venendo tratteggiato ora positivamente, ora negativamente dalle varie fonti che vi fanno riferimento. La tradizione greca, generalmente, lo dipinge come un tiranno e un malvagio, un generatore di mostri. Nel ‘300 Dante Alighieri ne offrirà invece un ritratto benevolo: all’interno della Divina Commedia Minosse veste i panni di un infallibile legislatore e, posto all’ingresso del II cerchio dell’Inferno, giudica le anime dannate spedendole nel Cerchio corrispondente al peccato commesso in vita.Ad Evans non dobbiamo solo il merito di aver scoperto le tracce materiali di una cultura di cui la tradizione, a partire da Omero, aveva a lungo parlato, ma anche tutta una serie di stereotipi radicati nella nostra cultura che sono riconducibili all’estrazione culturale dello stesso Evans: quella della Britannia vittoriana. Non a caso i ruderi rinvenuti a partire dagli scavi di Cnosso vengono denominati ‘’Palazzi’’, nome che riflette fortemente l’inglese ‘’Palace’’pur non avendo nulla a che vedere con ciò che gli inglesi intendevano con questa parola. Allo stesso modo Evans chiamo ‘’geroglifico cretese’’ l’antica tipologia di scrittura, non ancora decifrata, rinvenuta a Creta su sigilli di terracotta, presumibilmente perché impropriamente comparata al geroglifico egiziano, con il quale fra l’altro non ha nulla a che vedere. Sempre ad Evans dobbiamo la concezione del labirinto come luogo sacro, dell’ascia a due penne e della colonna come simboli religiosi, della venerazione dei Cretesi per la natura. Tutti questi stereotipi individuano una visione essenzialmente primitivistica della civiltà minoica, in linea con le tendenze culturali del tempo di Evans, in cui in Gran Bretagna (arcipelago a nord della Francia) prevalevano evoluzionismo e primitivismo e, in definitiva, l’idea di certe culture come primitive. Sempre Evans fu fautore di una prima cronologia della civiltà minoica, stabilita coerentemente con la datazione delle ceramiche rinvenute. Tale cronologia prevedeva una scansione tripartita in:1. Antico Minoico (AM)2. Medio Minoico (MM)3. Tardo Minoico (TM).

Una cronologia stabilita coerentemente con la datazione dei palazzi rinvenuti prevede una scansione tripartita in:

1. Età protopalaziale (proto = fase iniziale; pre = prima di): età di formazione dei palazzi; 2100-1900 a.C. circa;2. Età dei primi palazzi: 1900-1700 a.C. circa;3. Età neopalaziale: età dei secondi palazzi; 1700 a.C. circa-1370 a.C.

ETA’ PROTOPALAZIALE: 

Tra il 2100 e il 1900 a.c circa l’isola di Creta subisce una straordinaria trasformazione a livello territoriale: i villaggi vanno in crisi e si assiste alla nascita di strutture più complesse, quelle cui Evans darà il nome di ‘’palazzi’’, ossia strutture con funzione burocratica, amministrativa ed economica che assumono centralità nel territorio. Quella del palazzo è, in sostanza, una nuova forma di organizzazione economica e territoriale.

ETA’ DEI PRIMI PALAZZI:Tra il 1900 e il 1700 a.C. circa sorgono i tre palazzi cretesi più importanti:1. Palazzo di Cnosso, nel mezzo dell’isola, a 6 km dalla costa settentrionale, oggetto di scavi per gli archeologi inglesi. 2. Palazzo di Mallia, anch’esso situato lungo la costa settentrionale dell’isola, ad Est di Cnosso, oggetto di scavi per gli archeologi francesi.3. Palazzo di Festo, nella piana di Mesarà, a sudovest di Cnosso e in prossimità della costa meridionale di Creta, oggetto di scavi per gli archeologi italiani. N.B. I Tedeschi non scavarono a Creta, ma a Troia e Micene.

ETA’ NEOPALAZIALE:Gli archeologi hanno constatato una brusca interruzione materiale, un sorta di vuoto improvviso databile intorno al 1700 a.C. circa, periodo a partire dal quale il sistema palaziale conosce una profonda crisi che lo conduce al progressivo declino. L’ipotesi più accreditata dalla tradizione per giustificare questo vuoto è il successivo declino del modello palaziale è quella secondo la quale Creta sarebbe stata investita da una serie di violenti terremoti. Si tratta, in ogni caso, di un’ipotesi che non è possibile certificare. Certo è, tuttavia, che per quanto concerne i fenomeni storici nulla nasce all’improvviso e nulla muore all’improvviso: Fernand Braudel, uno storico francese del secolo scorso, parla a tal proposito di ‘’fenomeni di lunga durata’’. È probabile che la crisi del sistema palaziale sia stata determinata dalla sua natura di sistema burocratico amministrativo che come tale non poteva auspicare a durata perpetua. 

Il sistema palaziale conosce nuovo e più florido sviluppo nell’età cosiddetta neopalaziale.Per età neopalaziale si intende quell’età della storia di Creta che va dalla fine della crisi del 1700 a.C circa e termina convenzionalmente con l’anno 1370 a.C., anno a partire dal quale il nome dei Cretesi scompare dalle documentazioni egiziane. Tra le caratteristiche fondamentali di quest’età vi è una più ampia fioritura dei palazzi e la maggiore centralità amministrativa del palazzo di Cnosso. Importante è anche la fioritura in senso artistico, specie per la produzione di ceramiche. Altro fenomeno di rilievo che si fa risalire all’età neopalaziale è la diffusione della cultura minoica anche al di fuori dell’isola di Creta, come testimoniato dal ritrovamento di affreschi tipicamente minoici presso Santorini, l’antica Tera, l’isola più a sud delle 12 che compongono l’arcipelago delle Cicladi, nel mare Egeo, a nord di Creta. La diffusione della cultura minoica (a livello di manufatti in ceramica, iconografia e costumi) ha interessato anche l’Anatolia, una regione dell’Asia sudoccidentale nell’odierna Turchia, a nordest di Creta. Tucidide, storico greco del V secolo a.C. ne ‘’La guerra del Peloponneso ‘’ testimonia che, anticamente, il re Minosse avrebbe creato una talassocrazia, ossia un potere sul mare: egli avrebbe liberato l’Egeo dai pirati, imponendo, inoltre, tasse e pedaggi. Gli storici conclusero che il ritrovamento di manufatti cretesi al di fuori dell’isola costituisse la prova di quanto Tucidide aveva scritto e in definitiva il risultato di operazioni di espansione coloniale da parte di Creta. Si tratta di una conclusione scorretta ed impropriamente raggiunta: Il ritrovamento di manufatti facenti capo ad una certa facies culturale in una zona ad essa estranea non costituisce, di per sé, la prova di un invasione in senso militare, ma solo di una contaminazione culturale avvenuta con certe dinamiche. Questo tipo di operazione prende il nome di ‘’operazione combinatoria’’, che designa un’arbitraria fusione della documentazione archeologica e di quella letteraria. Fonti di carattere differente non possono in alcun modo essere combinate e devono sempre essere valutate singolarmente. Non a caso, quando Tucidide scrive della Talassocrazia realizzata da Minosse, egli non solo considera Minosse un personaggio storicamente definito, ma è anche anacronistico nella misura in cui riflette sul passato la politica coloniale ateniese del proprio tempo.

Gli studiosi hanno evidenziato un fenomeno assai strano risalente al 1450 a.C. circa: in quel periodo, in piena età neopalaziale, presso il palazzo di Cnosso, sono presenti delle tavolette di argilla recanti incisioni in lineare B.  Generalmente, di fronte ad eventi storici inspiegati, la tradizione storiografica di stampo positivista, tra ‘800 e ‘900, è ricorsa a due ordini di ipotesi: una catastrofista (terremoti, maremoti e così via..), l’altra invasionistica: In questo caso specifico si è pensato ad un occupazione micenea di Creta. In verità sia la soluzione catastrofista che quella invasionistica sono ormai superate. I fenomeni storici sono molto più complessi e difficilmente è possibile accontentarsi di questo genere di spiegazioni. La presenza di un elemento linguistico straniero a Creta non costituisce la prova di un’ipotetica invasione militare dell’isola. La teoria più accreditata è quella invasionistica, ma non è detto che sia quella corretta.

QUALI SONO LE FONTI DALLE QUALI RICAVIAMO INFORMAZIONI CIRCA LA SOCIETA’ MINOICA?:
1. Fonti archeologiche
 2. Fonti epigrafiche;
3. Fonti mitiche.

Storia greca, Appunti lezioni: 02\03\2016 : LEZIONE 1.

La trattazione si svolge contemporaneamente su due livelli paralleli:

1)  LIVELLO STORICO:
Ricostruzione critica della storia greca alla luce della documentazione in nostro possesso e delle relative fonti. La  ricostruzione che realizziamo in merito ad  un certo problema è sempre una ricostruzione ipotetica che deve necessariamente  tenere conto dell’ideologia di fondo che caratterizza questa o quella fonte, ossia del particolare punto di vista da cui essa trae origine.

2) LIVELLO STORIOGRAFICO:
In che maniera la storia greca è stata interpretata nell’arco temporale che va dal medioevo ad oggi? Quali sono stati gli usi e gli abusi che ne sono stati fatti? Certo è che, per quanto concerne la cultura occidentale, la memoria greca, al pari di quella ebraica, è nettamente più debole di quanto non sia, ad esempio, quella romana (si vedano gli usi e gli abusi che di essa sono stati fatti nel corso del ventennio fascista). La cultura greca ha memoria debole, paradossalmente, anche nella stessa Grecia odierna, dove è opinione assai diffusa che i ‘’veri Greci’’ siano i Bizantini. A cosa è dovuta la debolezza della memoria della storia greca antica nella cultura occidentale?

Il corso intende fornire lineamenti di storia greca dall’inizio del secondo millennio a.C (2000 a.C. circa) fino al 217 a.C.

Il secondo millennio a.C. corrisponde al periodo di sviluppo della civiltà palaziale: una società di tipo verticistico a base monarchica – e fondata sul palazzo – che nasce e si sviluppa a Creta diffondendosi successivamente in tutta l’area continentale. Il 217 a.C è l’anno della pace di Naupatto (, l’ultima pace siglata tra greci prima dell’inizio delle ingerenze romane.

Archeologicamente parlando, il secondo millennio a.C. è caratterizzato da 3 culture:

                   
Perché, pur essendo simili, la lineare B è stata decifrata e la lineare A non è stata decifrata? È una questione di LINGUA non di SCRITTURA. Per un italiano, ad esempio, la parola ‘’LATO’’ è comprensibile, mentre la parola ‘’TLAO’’ non lo è: i segni sono i medesimi, ma le loro combinazioni sono differenti. Le combinazioni dei segni sulle tavolette in lineare B erano derivazioni di un greco antico che conosciamo, al contrario di quanto accade per le combinazioni dei segni sulle tavolette in lineare A, derivanti da una lingua che non conosciamo. Nel lineare A solo i ‘’Toponimi’’ (nomi di luoghi) sono comprensibili.
La scrittura nella civiltà micenea (elladica) non è mai funzionale all’espressione artistica di alcun tipo: la scrittura nasce e si sviluppa soprattutto per esigenze burocratiche: tutti i documenti in lineare B sono di carattere amministrativo, non esiste letteratura micenea. E’ presumibile invece ritenere che la scrittura in lineare A e quella cosiddetta geroglifica (cultura minoica cretese)  non siano state utilizzate unicamente a fini amministrativi e burocratici poiché rinvenute su vasi votivi.

giovedì 22 settembre 2016

Falange oplitica e falange obliqua nella battaglia di Leuttra (371 a.C).


La Grecia nell'età del bronzo: Fine dell'antica età del Bronzo e inizio della media età del bronzo (Fine III millennio a.C.).

Gli archeologi hanno documentato una serie di importanti cambiamenti nella cultura materiale elladica e cicladica intorno alla fine del III millennio a.C. : in area continentale numerosi siti sono distrutti ed abbandonati; compare un nuovo tipo di ceramica lavorata al tornio (un’innovazione tecnologica di per sé notevole), la Minia, così chiamata perché rinvenuta ad Orcomeno, in Beozia, città dove, secondo la tradizione, aveva anticamente regnato il re Minyas, (il cui popolo è a volte identificato con gli Argonauti del mito di Giasone); si ritorna a seppellire i morti all’interno delle abitazioni e compare un nuovo tipo di edificio, la casa absidata (edificio con pianta poligonale a terminazione semicircolare  coperta generalmente  da una calotta a quarto di sfera).  Distruzioni, abbandoni ed insorgere di nuove tecniche hanno incentivato il combinatorismo di alcuni studiosi che, fondendo arbitrariamente fonti archeologiche e mitiche , hanno interpretato questi cambiamenti nella cultura materiale come conseguenze dell’arrivo di nuove popolazioni provenienti dalla Russia: i cosiddetti Kurgani. Ogni operazione combinatoria che intenda far fede alla tradizione mitologica che,escludendo la teoria del nucleo di Jean Bérard, non racchiude in sé elementi di verità, ma ha valore puramente legittimante di questa o quella condizione, è del tutto scorretto. La comparsa di nuove tipologie ceramiche e di nuove tecniche testimonierebbe non già un invasione da parte di popoli stranieri, ma una proficua comunicazione e rete di scambi con la vicina Anatolia, in cui già era attestato l’utilizzo del tornio e la produzione di ceramica del tipo di quella rinvenuta in Beozia.  Rimangono sconosciute le cause dei mutamenti in campo architettonico, urbano e funerario, sebbene non si escluda la possibilità dell’arrivo GRADUALE sul continente di genti non greche portatrici di nuove tecniche e di una lingua protogreca.

La fine dell’Antica età del Bronzo getta la Grecia Continentale in un periodo di stagnazione che si interromperà soltanto attorno al 1800-1700 a.C circa, con lo sviluppo nel Peloponneso della civiltà micenea. Per quanto concerne le Cicladi e Creta, con la Media età del Bronzo esse si avviano verso un rapido sviluppo.


mercoledì 21 settembre 2016

La Grecia nell'età del bronzo: Antica età del bronzo, 3000-2000 a.C.

Il passaggio dal Neolitico superiore all’Età del Bronzo è stato un fenomeno storico di lunga durata, accompagnato dall’emergere di società complesse e testimoniato dal ritrovamento, in quantità sempre maggiore, di manufatti in metallo, specie in bronzo: una lega di due metalli, stagno e rame, di cui la Grecia è notoriamente priva e la cui presenza sul continente e sulle isole sarebbe dovuta, secondo un’ipotesi largamente condivisa, a fiorenti rapporti commerciali che ne resero possibile una lenta diffusione. I centri di interesse si spostano dalla Grecia Settentrionale a quella Meridionale, in particolare nel Peloponneso, nelle Cicladi e a Creta. A partire da questo momento è possibile parlare dello sviluppo di tre distinte facies culturali: una elladica, riguardante la Grecia continentale, una cicladica, riguardante l’arcipelago delle Cicladi e una minoica o cretese, riguardante l’isola di Creta. A ciascuna di queste aree corrisponde una propria cronologia relativa basata sulle caratteristiche stilistiche delle ceramiche in essa rinvenute. Ciascuna cronologia risulta tripartita in Antico, Medio e Tardo (Elladico, Cicladico o Minoico) e ciascuno di questi livelli risulta a sua volta tripartito in I, II e III A o B (antico o tardo). Tradizionalmente si colloca l’inizio dell’età del Bronzo nel III millennio a.C.

ANTICA ETA’ DEL BRONZO. (3000- 2000 A.C. CIRCA)

La prima fase dell’Età del Bronzo fu in generale caratterizzata da un decisivo aumento demografico, dalla specializzazione delle tecniche di produzione, dall’apparire dei primi strumenti pre-scrittori di amministrazione di magazzini deputati allo stoccaggio dei beni, da una più rigorosa organizzazione dei centri abitati (spesso in senso gerarchico), dall’inumazione dei morti in aree extraurbane e dall’emergere di ricche sepolture che testimoniano la rottura dell’ organizzazione  sociale egualitaria che aveva caratterizzato la fase neolitica precedente.
Nello specifico, sul FRONTE CONTINENTALE sono attestate per la prima volta grandi edifici, forse pubblici, la cui comune struttura rientra nella tipologia della “Corridor House”, l’antecedente archiettonico del palazzo: Una struttura a base rettangolare su due livelli, che prevede nel centro un certo numero di spazi quadrati o rettangolari, e sui lati lunghi da due ampi corridoi che ospitano altre stanze e scale. Tra i più importanti rinvenuti ricordiamo:

  1.  La Casa delle Tegole a Lerna, nell’Argolide:, risalente alla ricostruzione di Lerna dopo il suo recente abbandono nel l’Antico Elladico II. La sua posizione centrale rispetto al resto dell’area urbana e il rinvenimento in essa di cretule d’argilla recanti le impronte di sigilli iscritti decorati con motivi geometrici, convinsero l’archeologo americano John Caskey che l’edificio fosse la sede di un potere centrale con funzioni di controllo sulle derrate e sulle produzioni dell’area.  La sua ipotesi è stata di recente messa in discussione dall’obiezione che le impronte dei sigilli sarebbero troppo numerose per indicare le derrate e soprattutto per il fatto che si nega una specializzazione controllata delle tecniche lavorative, fatta eccezione per la produzione di oggetti di prestigio come gioielli e metalli. La Casa delle Tegole venne abbandonata e distrutta verso la fine dell’Antico Elladico II. Sulle sue rovine, nella parte centrale della costruzione, venne tracciato un cerchio di pietre, ad indicare che le rovine dovevano essere conservate, non si sa se ciò sia un indizio di venerazione o di esecrazione rispetto al luogo, fatto sta che, effettivamente, nuove costruzioni sulle rovine della Casa delle Tegole sono databili alla fine del Medio Elladico.


2)       Il Building BG, sempre a Lerna, nell’Argolide;

3)        Due costruzioni in Messenia;

4)        Un edificio fortificato a Tebe, in Beozia;

5)         La Casa dei pithoi, vicino Corinto, nella Corinzia.

Sul FRONTE CICLADICO fiorisce la produzione di idoli di marmo esportati in tutta la Grecia continentale e continua l’esportazione di ossidiana di Melo. Sull’isola di Ceo compaiono i cosiddetti “Marchi del Vasaio” segni che hanno fatto ipotizzare in un primo momento a funzioni scrittorie, sebbene si sia alla fine rinunciato a questa ipotesi non potendo collocare questi segni geometrici entro un sistema scrittorio.

La ceramica più diffusa è in questo periodo l’Urfirnis, una ceramica non lustrata decorata con una vernice a base d’argilla marrone o rossa. 

La Grecia dal Paleolitico al Neolitico.

Secondo le testimonianze archeologiche in nostro possesso, la Grecia risulterebbe abitata fin da tempi antichissimi: si parlerebbe addirittura di centomila anni or sono, come testimoniato dall’unico sito per il quale possediamo una cronologia continua dal Paleolitico superiore al Neolitico finale, per un arco temporale compreso tra il 20.000 a.C. e il 3.000 a.C. circa, ossia la Grotta Franchti, sulla costa sudest dell’Argolide, nel Peloponneso.

PALEOLITICO.
In Tessaglia e nella Penisola Calcidica sono stati rinvenuti reperti attribuiti al Paleolitico inferiore. Nella Grecia centrale e nelle Cicladi sono state invece rinvenute tracce di un’occupazione umana risalente al Paleolitico medio e superiore. La presenza in questo periodo di ossidiana di Melo (una delle Cicladi) in Argolide testimonia di scambi tra la Grecia continentale e le Cicladi fin da tempi antichissimi. Non esistono, in tutto in Paleolitico, centri abitativi stabili; l’economia è fondata sulla caccia e sulla raccolta.

MESOLITICO.
Nel Mesolitico, tra l’8.300 e il 6.000 a.C. circa, cominciano a comparire centri abitativi stabili e l’economia non è più fondata unicamente sulla caccia e sulla raccolta ma anche sulla coltivazione.

NEOLITICO.
Con il Neolitico, tra il 6.000 e il 3.000 a.C. circa, la nostra documentazione si fa decisamente più consistente, grazie all’abbondante ritrovamento di manufatti in ceramica e resti di centri abitativi, specie in Tessaglia, Macedonia e Tracia. I siti di Sesklo e Dimini, in Tessaglia, entrambi fortificati e dotati nella zona centrale di un ampio edificio a base rettangolare, testimoniano che l’economia delle popolazioni neolitiche era basata sulla coltivazione e la raccolta di grano ed orzo e sull’allevamento di capre e montoni. è stato appurato che in questo periodo si praticasse la tessitura, la lavorazione di oggetti in legno e  la cottura e preparazione del cibo. I traffici di ossidiana dalle Cicladi verso l’area continentale continuano, sebbene questo vetro vulcanico giungesse in Grecia non più in forma semilavorata ma in grossi blocchi di materiale grezzo. 

#AtlanteStorico: Grecia, La Geografia.

Dal punto di vista geografico, la Grecia può essere suddivisa in tre aree: una settentrionale, una centrale e una meridionale. Ad est, nell’area settentrionale del continente greco, troviamo la Tessaglia, unavasta regione pianeggiante compresa tra le alte cime del Pindo e dell’Olimpo, solcata dai due fiumi Peneo ed Enipeo e suddivisa in quattro regioni: Istiotide, Pelasgiotide, Ftiotide, Tessaliotide. Ad ovest della Tessaglia troviamo poi L’Epiro, una regione assai meno fertile della vicina Tessaglia, caratterizzata da una stretta fascia costiera che affaccia sul Mar Ionio e su parte del Mar Adriatico Meridionale, e da una zona interna per lo più montuosa. L’Epiro è inoltre celebre per il Tempio di Zeus a Dodona e per l’Oracolo dei morti sulle sponde dell’Acheronte, in Tesprozia. A Nord della Tessaglia vi è l’ampia regione della Macedonia, non considerata parte del continente greco almeno fino al VI secolo a.C, sebbene le dinastie regnanti si siano sempre dichiarate di origini greche in virtù di una presunta discendenza dall’eroe mitologico greco Eracle. A sudest della Macedonia troviamo la penisola Calcidica, che affaccia sull’Egeo settentrionale e che prende il nome, molto probabilmente, da Calcide, una delle più importanti città dell’Eubea, un’isola della Grecia centrale. Ad est della penisola Calcidica vi è infine la Tracia, mai considerata come parte del continente greco e i cui popoli sono sempre stati visti come barbari, sebbene numerosissimi siano stati i tentativi di colonizzazione, da parte di genti greche, di questa regione assai ricca di metalli preziosi (specie oro e argento).

La Grecia centrale è delimitata a Nord dalla retta che congiunge il Golfo di Pagase ad Est e quello di Ambracia ad Ovest e a Sud dal Golfo di Corinto. Da Ovest verso Est la Grecia centrale comprende Acarnania, Etolia, Focide e Beozia; a sud della Beozia si trova l’Attica e a Nord tra Focide e Beozia i Locresi Opunzi, mentre a sud tra Acarnania e Focide si trovano i Locresi Ozoli, secondo la tradizione coloni degli Opunzi. A sud dell’Attica vi è poi la Megaride, una stretta fascia di territorio che congiunge la Grecia Centrale con il Peloponneso. Ad Est della Beozia si estende la vasta pianura dell’Isola di Eubea, fondamentale punto di approdo per le rotte orientali, che si protende verso l’arcipelago delle Cicladi e le coste dell’Asia Minore. Ad est dell’Eubea vi è l’arcipelago delle Cicladi, al centro delle quali vi è Delo, secondo la tradizione isola sacra al dio Apollo. Ancora più ad Est un altro arcipelago, quello delle Sporadi (Lesbo, Chio e Samo) e più a Sud le due isole di Rodi, Coo e Cipro.

La Grecia meridionale è delimitata a Nord dal Golfo di Corinto. La parte continentale della Grecia meridionale prende il nome di Peloponneso, da Pelope, figlio del mitico Tantalo, primo re della Lidia, che secondo la tradizione giunse in questa terra dandovi il proprio nome. Inizialmente il Peloponneso si sarebbe chiamato Apia, da Apis, figlio del leggendario Foraneo, secondo la tradizione il primo uomo. Successivamente ad Apia, il Peloponneso si sarebbe chiamato Pelasgia, da Pelasgo, anch’egli figura mitologica primordiale. Gli antichi paragonavano il Peloponneso, a causa della sua conformazione geografica, ad una foglia di platano o di vite: effettivamente esso è caratterizzato, a sud, dalla presenza di quattro lingue di terra solcate da profonde insenature. La prima di queste lingue di Terra, a partire da est, è l’Argolide, che forma con l’Attica a nord il Golfo Saronnico e quello Ermioneo e che forma, con la seconda lingua di terra da est, parte della Laconia, il Golfo Argolico. La seconda e la terza lingua di terra da est costituiscono la parte meridionale della laconia, mentre la quarta ed ultima è parte della Messenia. A nord della Messenia si trova l’Elide e più a nord est l’Acaia, che affaccia direttamente sul Golfo di Corinto. Nella parte centrale del Peloponneso vi è infine l’Arcadia, che in virtù della sua posizione geografica, ha sempre mantenuto scarsi rapporti con l’esterno. Ad est dell’Elide si trovano le isole Ionie, tra le quali spiccano Zante Itaca e in particolare Corcira, più a Nord, in prossimità dell’Epiro. Così come l’Eubea ha costituito un punto d’approdo fondamentale per le rotte marittime verso l’Oriente, allo stesso modo le isole ioniche costituiscono un punto d’approdo fondamentale per le rotte marittime verso l’Occidente, specie verso l’Italia, che i naviganti solevano raggiungere costeggiando l’Elide e procedendo verso nord fino a quel punto in cui il tratto di Mare che separa Grecia e Italia è più stretto, ossia in corrispondenza delle coste calabro-pugliesi.


A sud del Peloponneso vi è la vasta isola di Creta, punto d’approdo sia per le rotte in direzione Nord-Sud, dalla Grecia verso l’Egitto e la Libia, sia per quelle in direzione Est-ovest.

martedì 20 settembre 2016

Riforma clistenica delle tribù.

#1 Riassunto: Arnold Gehlen, L’uomo: la sua natura e il suo posto nel mondo - Introduzione - L'uomo come problema biologico particolare.

Un’interpretazione della natura umana deve necessariamente far riferimento ad una determinata formula interpretativa alla luce della quale l’uomo prende posizione circa sé stesso e circa i propri simili: Infatti, a seconda che io mi consideri come figlio di Dio o come anello della catena evoluzionistica il mio atteggiamento nei confronti della realtà è destinato ad essere completamente diverso. Gehlen osserva come la prospettiva evoluzionistica e quella metafisica abbiano in comune il fatto di ritenere che l’uomo possa essere descritto ed interpretato soltanto con categorie dell’extraumano (variazione casuale e adattamento da una parte, spirito dall’altra); l’intento di Gehlen è quello di dimostrare come sia possibile elaborare una concezione della natura dell’uomo che si avvalga di concetti molto più specifici e adeguati per questo particolarissimo oggetto di indagine che è l’uomo. L’uomo rinviene in sé stesso un compito che egli deve e può specificare solo interpretando la propria natura alla luce di una certa prospettiva che ha da essere empirica e scientifica. Poiché tale compito è nell’uomo dato ma non risolto col suo mero esistere – perché destinato a specificarsi attraverso questa auto-interpretazione – si dice che l’uomo è non solo un essere che prende posizione ma anche un essere incompiuto. Quando Nietzsche parla dell’uomo come “l’animale non ancora definito” intende esattamente questo: che non esiste un’opinione univoca di ciò che l’uomo sia esattamente e che l’uomo non è costituito una volta per tutte.

L’intento di Gehlen è quello di elaborare un’antropologia generale, una teoria dell’uomo che lo consideri nella sua totalità, che sia preordinata ad ogni scienza specialistica e che sia in grado di individuarne il posto peculiare nel mondo. In genere si è soliti classificare come ‘’umano’’ tutto ciò che non animale, vegetale o inorganico e si è soliti derivare le facoltà umane da quelle animali secondo gli insegnamenti dell’evoluzionismo darwiniano. Gehlen osserva come, in verità, la teoria evoluzionistica risulti valida solo per quanto concerne lo sviluppo somatico di singoli caratteri o complessi di caratteri e come essa si mostri insufficiente ai fini della definizione di una antropologia generale che consideri TUTTO l’uomo. Finché si considerano singoli caratteri o qualità, infatti, non si rinviene nulla di specificatamente umano e un’antropologia generale è impossibile: benché l’uomo possegga una struttura anatomica assai singolare gli antropoidi ne hanno una piuttosto simile; esistono in natura numerosi animali dotati di intelligenza, in grado di costruire abitazioni o produrre ‘’opere d’arte’’ (si vedano elefanti, castori e scimpanzé ) che vivono in vere e proprie società, come le formiche, o che hanno sviluppato efficaci sistemi di comunicazione, come nel caso di delfini e primati. Il possesso della mano, di un sistema linguistico, dell’andatura eretta,della ragione e così via, non possono essere considerati elementi sufficienti alla definizione di ciò che l’uomo è.

Sono due i fattori che, secondo Gehlen, hanno ostacolato l’elaborazione di un’antropologia generale: In primo luogo la mancata ricomposizione di corpo e psiche, che le analisi classiche hanno insistito nel concepire come due realtà opposte ed inconciliabili; in secondo luogo il fatto che un’antropologia filosofica dovrebbe essere preordinata ad ogni altra scienza specialistica: biologia, gnoseologia, linguistica, psicologia... già orientarsi entro campi disciplinari tanto differenti risulta difficile, figuriamoci elaborare una teoria che possa conciliarli tutti. L’elaborazione di un’antropologia generale è possibile solo se si riconosce l’uomo come un’unità di corpo e psiche in cui tutti i caratteri, esterni e interni, possiedono una qualche connessione tale da consentire la comprensione della psiche attraverso le categorie biologiche del corpo e la comprensione del corpo a partire dalle dinamiche psichiche. Una volta riconosciuta quest’unità sarà possibile abbattere i confini tra le varie scienze specialistiche e raccogliere materiale per la fondazione di un’unica grande scienza dell’uomo tale da impedire l’identificazione dell’essere umano col possesso di questo o quel carattere, di questa o quella facoltà. E’ possibile mostrare, in altre parole, come i caratteri essenziali dell’uomo, che lo definiscono come tale – a partire dall’andatura eretta per finire con l’istituzione dell’etica e della morale – si PRESUPPONGANO l’un l’altro e non siano l’uno la causa dell’altro: l’intelligenza non ha causato il linguaggio e il linguaggio non ha causato l’intelligenza; l’intelligenza presuppone il linguaggio così come il linguaggio presuppone l’intelligenza.


L’uomo si distingue dall’animale nella misura in cui è ‘’un essere manchevole’’ nei suoi confronti: Non dispone di meccanismi di difesa o di organi specializzati, di un apparato istintuale efficace alla sua sopravvivenza, è un essere indifeso, bisognevole e perturbabile che può mantenersi in vita solo ed esclusivamente in virtù di certe funzioni considerate superiori, ossia il pensiero, il linguaggio, l’immaginazione e via dicendo. Tali funzioni hanno per l’uomo un’importanza vitale e ne costituiscono le condizioni di esistenza. 

#AtlanteStorico: Antiche regioni dell'Anatolia.


#AppuntiLezione:Tradizioni eroiche e colonizzazione greca: le colonie achee – Alfonso Mele.

Quando Omero utilizza l’aggettivo “Achei”, egli fa riferimento a TUTTI i Greci e più precisamente ai Micenei del Peloponneso, ad una dimensione predorica. Dopo la caduta dei palazzi micenei si attivò un processo di dorizzazione che lasciò intonsa solo l’Arcadia, l’unica realtà del Peloponneso destinata a rimanere non dorica. Il Peloponneso predorico (miceneo) si rifaceva molto probabilmente a tradizioni eolico-tessaliche. La categoria Eoli, molto spesso utilizzata da Alfonso Mele nel suo saggio, si riferisce proprio al panorama socio-culturale predorico. In età arcaica, col Peloponneso già dorizzato, la regione settentrionale dell’Acaia risultava abitata dal popolo acheo. Gli storici si pongono ovviamente il problema della differenza tra questi Achei e e gli Achei in senso omerico: se per gli uni si intendevano gli abitanti di una regione settentrionale chiamata Acaia, per gli altri si intendevano invece, i micenei del Peloponneso. Gli Achei di età storica avviarono un movimento coloniale di tipo etnico, caratterizzato cioè da una partecipazione collettiva allo spostamento da piccoli centri all’Italia Meridionale. Colonie achee della Magna Grecia furono Sibari, Crotone (città di tradizioni atletiche), Metaponto (VII secolo a.C), Poseidonia (VI secolo a.C.). queste grandi città erano colonie che vivevano a contatto con altre città greche di tradizione diversa. Sul Golfo ionico esisteva una città di nome Siri, già esaltata dal poeta greco Archiloco, di tradizione però non achea. Nella prima metà del Vi secolo le colonie achee si coalizzarono e sottomisero Siri: ci troviamo davanti alla coesistenza di tradizioni culturali diverse ma anche episodi di scontri e contrasti.

L’articolo di Alfonso Mele intende studiare i miti precoloniali legati alle colonie achee in Magna Grecia. Mele asserisce che, soprattutto per via dell’influenza esercitata da Giovanni Puglliese Carratelli, questi miti precoloniali di tradizione achea sono stati a lungo letti come memorie micenee. Le prime due pagine del saggio costituiscono il rifiuto di questa lettura: non è possibile che gli indigeni abbiano conservato tanto a lungo la memoria di fatti di II millennio a.C.

Dopo le pagine in cui Mele smentisce la praticabilità dell’ipotesi di Pugliese Carratelli per la comprensione dei miti precoloniali, fa notare che per quanto riguarda le colonie achee della magna Grecia è possibile effettuare una tripartizione: esiste nelle colonie achee una componente di tradizioni pretoriane e una serie di tradizioni di carattere nostoico. La tradizione pretoriana è in queste colonie achee è rappresentata soprattutto dalla genealogia di Aiolos, Eolo. Aiolos è una figura radicata profondamente nell’ambito tessalico e in parte in quello beotico. Nel proprio articolo Mele mostra che la genealogia di Aiolos è concentrata soprattutto in due città: Metaponto, fondata attorno al 630, subcolonia dell’achea sibari; e Poseidonia, fondata nell’inoltrato VI secolo. Tra la fondazione di Metaponto e la fondazione di poeidonia si colloca la distruzione di Siri.

A Metaponto sono presenti: le figlie di Aiolos, Melanippe e Arne; Sisifo, re di Corinto e padre dell’eponimo di Metaponto.

A Poseidonia sono presenti: Creteo, padre di Aison e nonno di Giasone. Di qui il mito degli argonauti, ch passano per Poseidonia fondando nella valle del Sele il tempio di Era Argiva. Atamante e la figlia Ino, conosciuta anche per Leucotea. Tirò,  madre di Neleo I padre di Nestore.

Mentre altre colonia della magna Gecia insisteranno su tradizioni mitiche nostoiche, Metaponto e Poseidonia rimarranno legata e tradizioni eoliche tessaliche altamente predoriche.

#11 Riassunto: H. Maturana & F. Varela; Autopoiesi e cognizione, Autopoiesi: L'organizzazione del vivente, 1973 - Presenza dell'autopoiesi.

L’autopoiesi nello spazio fisico è necessaria e sufficiente per caratterizzare un sistema come un sistema vivente. Tutti i fenomeni biologici, a partire dalla riproduzione e dall’evoluzione, dipendono dall’autopoiesi di un’unità autopoietica fisica.

IMPLICAZIONI BIOLOGICHE.
Un sistema vivente è un sistema vivente perché è un sistema autopoietico nello spazio fisico ed è un’unità nello spazio fisico perché la sua organizzazione autopoietica lo definisce come tale. Di conseguenza, ogni trasformazione strutturale che un sistema autopoietico può subire senza perdita di identità dev’essere subordinato al mantenimento della sua organizzazione autopoietica. Se l’organizzazione autopoietica non viene mantenuta, il sistema si disintegra e perde la propria identità: in definitiva, muore.
I)                  La fenomenologia dei sistemi viventi è la fenomenologia delle macchine autopoietiche fisiche e i fenomeni biologici sono una sottocategoria dei fenomeni meccanici. Entrambi, infatti, sono fenomeni di relazioni tra processi realizzati attraverso le proprietà dei componenti di una macchina o di un sistema vivente.
II)               Una teoria dei fenomeni biologici dovrebbe permettere un’analisi dei componenti di un sistema vivente per determinare in che misura essi partecipano ai processi che integrano un fenomeno biologico. Se fosse possibile determinare quali relazioni devono essere soddisfatte tra le componenti di un insieme di componenti affinché queste costituiscano un’unità autopoietica, sarebbe possibile, a rigor di logica, progettare e costruire sistemi viventi esattamente come facciamo con le macchine allopoietiche.
III)            L’autopoiesi nello spazio fisico definisce tutti i sistemi viventi in qualunque punto dell’universo, indipendentemente dall’ipotesi dell’esistenza di forme di vita più complesse e inimmaginate.

IMPLICAZIONI EPISTEMOLOGICHE.
I)                  Nella storia della biologia la necessità epistemologica di fornire una spiegazione completa della fenomenologia biologica, attraverso nozioni ben definite, sembrava aver trovato piena soddisfazione nella teoria evoluzionistica e nella genetica. Entrambe, tuttavia, hanno finito per dimostrarsi insufficienti perché, sebbene abbiano mostrato i meccanismi del cambiamento storico degli esseri viventi, hanno trascurato l’aspetto più strettamente biologico: Hanno trattato la specie come fonte di tutto l’ordine biologico, mostrando come essa evolva, mentre tutti gli individui non sono che elementi in essa temporanei la cui organizzazione è subordinata alla fenomenologia storica. Hanno dimenticato, però, che la ‘’specie’’ non è altro che un’astrazione descrittiva e che essa è, nel concreto, un insieme di individui che condividono un pool genetico e la possibilità di incrociarsi riproduttivamente. La genetica e la teoria evoluzionistica non permettono un’adeguata comprensione della fenomenologia biologica, che è possibile solo attraverso la comprensione dell’organizzazione autopoietica dei sistemi viventi. Poiché i sistemi viventi sono macchine autopoietiche fisiche, la loro organizzazione è interamente spiegabile con nozioni meccanicistiche, cosicché la spiegazione biologica fornita attraverso la comprensione dell’organizzazione autopoietica dei viventi ha la medesima validità epistemologica di una qualunque spiegazione meccanicistica di un fenomeno meccanicistico nello spazio fisico.

II)               Il successo della teoria evoluzionistica di Darwin fu dovuto soprattutto al suo significato sociologico: Gli individui più adatti sopravvivono e hanno vantaggi riproduttivi sugli altri; i meno adatti periscono o hanno minori vantaggi riproduttivi, partecipando meno all’evoluzione e alla perpetrazione della specie, che è l’unico ruolo dell’individuo.Le nozioni di evoluzione, selezione naturale e adeguatezza sembravano fornire una giustificazione alla struttura sociale ed economica di una società competitiva in cui i più forti tentano di affermarsi sugli altri individui attraverso l’imposizione di valori universali che giustificano la discriminazione sociale, la schiavitù e la subordinazione economica, con la pretesa che l’unico ruolo degli individui sia la perpetrazione ad ogni costo di stato, società e genere umano. Poiché, però, la teoria evoluzionistica ha dimenticato che la specie è un’astrazione descrittiva che si riferisce ad un insieme concreto di individui e che quindi la fenomenologia biologica della specie e necessariamente subordinata a quella degli individui, non è lecito sostenere la necessità della subordinazione dei singoli al perpetrarsi dell’umanità, della società o della specie, poiché essi non sono assolutamente trascurabili dal punto di vista biologico.

IMPLICAZIONI COGNITIVE.
Il dominio di interazioni di un’unità autopoietica è il dominio di tutte le deformazioni che quell’unità può subire senza perdere l’autopoiesi. Tale dominio è determinato dalla struttura del sistema vivente, ossia dal modo particolare col quale la sua organizzazione autopoietica è realizzata nello spazio fisico. Sistemi autopoietici diversi hanno domini di interazioni diversi.Agli occhi di un osservatore, la condotta cui un organismo da luogo come compensazione della deformazione subita da parte dell’ambiente è una descrizione dell’ambiente. Poiché il dominio di interazioni di un organismo e le perturbazioni che questo può subire sono necessariamente limitate (giacché determinate dalla struttura del sistema vivente) esso può compiere un numero limitato di descrizioni e ha pertanto una conoscenza parziale dell’ambiente che appare agli occhi dell’osservatore. La particolare organizzazione autopoietica di un sistema vivente determina per esso, cioè, uno specifico dominio cognitivo fuori dal quale per l’organismo non esiste nulla.
I)                  Se il dominio cognitivo di un organismo dipende dalla maniera in cui la sua organizzazione autopoietica è realizzata nello spazio fisico, cioè dalla sua struttura, l’ontogenesi, in quanto storia della trasformazione strutturale di un’unità, determina cambiamenti nel dominio cognitivo dell’organismo.
II)               Sistemi viventi con domini cognitivi comparabili possono entrare in accoppiamento comportamentale l’uno con l’altro, in maniera tale che il comportamento di A è fonte di deformazioni per B, il comportamento compensativo di B è fonte di deformazioni per A e così via in maniera ricorsiva potenzialmente infinita, almeno finché l’accoppiamento non viene interrotto. Le condotte di A e di B, sebbene allacciate, non determinano la condotta che seguirà come risposta da parte dell’altro organismo ma semplicemente orientano quell’organismo entro il suo dominio cognitivo verso un’interazione dalla quale seguirà una condotta indipendente da quella dell’organismo orientante. Le interazioni che si stabiliscono tra due organismi in accoppiamento sono interazioni comunicative e le condotte che ne derivano.

#10 Riassunto: H. Maturana & F. Varela; Autopoiesi e cognizione, Autopoiesi: L'organizzazione del vivente, 1973 - Diversità dell'autopoiesi.

L’organizzazione autopoietica di un sistema vivente lo definisce come unità topologica nello spazio in cui i suoi componenti possono interagire ed avere relazioni. Riproduzione ed evoluzione, dalle quali dipende la diversità dei sistemi viventi, sono necessariamente subordinate alla loro condizione di unità: la riproduzione esige l’esistenza di un’unità da riprodurre; l’evoluzione esige la riproduzione come mezzo che veicola il cambiamento da generazione in generazione.

SUBORDINAZIONE ALLA CONDIZIONE DI UNITA’.
L’unità è la condizione imprescindibile che un qualcosa deve avere affinché sia possibile distinguerlo da uno sfondo o da altre unità. La distinzione di un’unità da uno sfondo comporta sempre la specificazione del dominio nel quale essa esiste, sia che la distinzione venga operata sul piano concettuale, da parte di un osservatore, sia che essa venga operata sul piano fisico, attraverso l’effettivo operare dell’entità nello spazio. Diversi tipi di unità ineriscono a diversi domini di interazioni e possono interagire nella misura in cui i rispettivi domini presentano delle interazioni comuni. Il dominio di interazioni che specifica un’unità ne determina l’intera fenomenologia. Poiché nei sistemi viventi il dominio di interazioni è definito dall’ organizzazione autopoietica, ogni cambiamento nel sistema è subordinato al suo mantenimento. Poiché l’organizzazione autopoietica definisce il sistema come unità, ogni cambiamento nel sistema è subordinato al mantenimento della propria unità.

PLASTICITA’ DELL’ONTOGENESI.
L’ontogenesi è la storia della trasformazione strutturale di un’unità, la storia del mantenimento della sua identità attraverso l’autopoiesi continua nello spazio fisico.
I)                  Poiché il modo in cui un’unità conserva la propria identità (rimane autopoietica) dipende dalla sua struttura, classi differenti di sistemi autopoietici (con strutture differenti) hanno classi differenti di ontogenesi.
II)               I cambiamenti che un sistema autopoietico può subire senza perdita di identitàsono determinati dalla sua organizzazione e subordinati al suo mantenimento. I sistemi autopoietici possono essere perturbati da eventi indipendenti e compensare tali perturbazioni attraverso cambiamenti interni subordinati al mantenimento della propria organizzazione.
III)            La struttura di un’unita, ossia il modo in cui la sua organizzazione autopoietica è realizzata nello spazio fisico, può cambiare nel corso della sua ontogenesi, a patto però che i cambiamenti strutturali non compromettano l’identità del sistema, interrompendo le relazioni di produzione specificate dall’organizzazione autopoietica tra le sue componenti.
IV)             Le fonti di perturbazione per un sistema autopoietico sono: l’ambiente esterno, come fonte di eventi indipendenti e il sistema stesso, come fonte di stati d’attività risultanti dalle compensazioni delle perturbazioni che possono a loro volta costituire perturbazioni che generano ulteriori compensazioni. L’ontogenesi dell’organismo riflette in parte la storia delle sue interazioni con l’ambiente di esistenza.
V)                L’osservatore guarda all’organismo come unità calata in un ambiente e distingue per esso le perturbazioni generate internamente e quelle generate esternamente, sebbene per il sistema vivente esse siano indistinguibili. Le perturbazioni generate esternamente all’organismo consentono all’osservatore di fare dichiarazioni sulla storia ontogenetica del sistema autopoietico e sull’ambiente di esistenza che essa descrive. L’osservatore individua, cioè, una corrispondenza tra l’ambiente di esistenza e l’ontogenesi, come se l’organizzazione autopoietica contenesse rappresentazioni dell’ambiente. In verità l’organizzazione dell’organismo non contiene rappresentazioni circa l’ambiente, ma ha natura omeostatica.
VI)             I cambiamenti compensativi che un sistema autopoietico può subire senza perdita di identità possono essere di due tipi:
a)     Cambiamenti conservativi, che determinano cambiamenti nelle relazioni tra i componenti senza comportare modifiche dello spazio autopoietico del sistema;
b)     Cambiamenti innovativi, che determinano cambiamenti nei componenti e modifiche dello spazio autopoietico del sistema.

LA RIPRODUZIONE: UNA COMPLICAZIONE DELL’UNITA’.
La riproduzione di un’unità è il processo di complicazione di quell’unità – e quindi della sua autopoiesi – che veicola i cambiamenti operati dal processo evolutivo. Vi sono tre fenomeni da distinguere per quanto riguarda la nozione di riproduzione: Replicazione, copiatura e autoriproduzione.
a)     Replicazione: Un sistema replicante è un sistema in grado di generare unità diverse da sé stesso ma identiche tra loro e con una comune organizzazione (determinata nel processo della loro produzione).
b)     Copiatura: La copiatura ha luogo quando un certo fenomeno viene mappato su un sistema e un fenomeno isomorfo si realizza in esso.
c)      Autoriproduzione: Un’unità si autoriproduce quando produce un’unità con un’organizzazione simile alla propria in un processo accoppiato a quello della propria produzione. Solo i sistemi autopoietici possono autoriprodursi perché solo essi si autoproducono. La riproduzione nei sistemi viventi è un momento dell’autopoiesi.

L’EVOLUZIONE: UNA RETE STORICA.
L’evoluzione biologica è, nel dominio descrittivo dell’osservatore, un fenomeno storico: un processo di cambiamento nel quale ogni stato di un sistema che cambia ha origine dalla modificazione dello stato precedente nel corso di una trasformazione causale. In che maniera l’organizzazione autopoietica degli organismi definisce l’evoluzione come processo storico?
I)                  L’evoluzione necessita di riproduzione sequenziale e cambiamento in ogni passo riproduttivo: L’evoluzione di un sistema vivente è la storia dei suoi cambiamenti strutturali senza perdita d’identità realizzati in una sequenza di unità indipendenti generate in passi riproduttivi successivi, ciascuna delle quali possiede una struttura tale da costituire una modificazione della struttura dell’unità immediatamente precedente. L’evoluzione di un sistema vivente richiede riproduzione sequenziale e cambiamento in ogni passo riproduttivo.
II)               L’evoluzione dei sistemi autopoietici è una conseguenza della loro capacità di autoriprodursi: Solo i sistemi auto-riproducenti danno luogo a riproduzione sequenziale (generazione di unità indipendenti con medesima identità in passi riproduttivi successivi): nell’autoriproduzione, infatti, ogni unità determina la struttura della prossima in maniera tale che l’organizzazione autopoietica (e quindi l’identità) venga conservata. Se incorrono dei cambiamenti nella struttura delle unità generate sequenzialmente, ciascuna di esse costituirà una modifica rispetto alla precedente, e il processo evolutivo sarà innescato. L’evoluzione dei sistemi autopoietici è quindi una conseguenza della loro capacità di autoriprodursi.
III)            L’evoluzione è necessariamente un processo di adattamento continuato: l’evoluzione di un sistema auto-riproducente ha luogo solo se le unità generate consecutivamente nel corso della sua riproduzione sequenziale subiscono cambiamenti strutturali per effetto della selezione differenziale che realizza di volta in volta l’adattamento dell’organismo nel suo dominio di esistenza. L’adattamento ad un certo ambiente regionale è infatti la condizione imprescindibile per la realizzazione strutturale di un’organizzazione autopoietica. Se la selezione non garantisse l’adattamento, l’autopoiesi non potrebbe realizzarsi. Se l’autopoiesi non potesse realizzarsi, la riproduzione non potrebbe aver luogo. Se la riproduzione non potesse aver luogo, l’evoluzione non potrebbe sussistere. L’evoluzione è necessariamente un processo di adattamento continuato.
IV)             Nei sistemi viventi l’evoluzione biologica è resa possibile da variazioni strutturali (operate dal processo di selezione) sui prodotti della riproduzione sequenziale determinata dall’autoriproduzione. L’evoluzione culturale dei sistemi viventi è invece resa possibile dalla copiatura sequenziale, nel corso del processo di indottrinamento sociale, di un modello che cambia da generazione in generazione.
V)                Una specie è una popolazione di individui che condividono un pool genetico, cioè una configurazione strutturale pressoché equivalente come risultato di trasformazioni storiche. 

ACCOPPIAMENTO E SISTEMI AUTOPOIETICI DI SECONDO E TERZO ORDINE
Ogni volta che la condotta di due o più unità è tale che vi è un dominio nel quale la condotta di ciascuna è una funzione della condotta delle altre, si dice che quelle unità sono ‘’accoppiate’’ in quel dominio. L’accoppiamento ha origine come risultato delle reciproche modificazioni che le unità subiscono interagendo l’una con l’altra senza perdere la propria identità.

L’accoppiamento di unità autopoietiche può anche condurre alla generazione di una nuova unità che può esistere in un dominio differente da quello in cui le unità che l’hanno prodotta mantengono la propria identità. È il caso delle api da miele, che partecipano al mantenimento dell’organizzazione circolare del sistema alvearesenza perdere la propria identità. Il sistema alveare è un sistema autopoietico di terzo ordine, alla cui organizzazione partecipano le api, sistemi autopoietici di secondo ordine, alla cui organizzazione partecipano a loro volta sistemi autopoietici di primo ordine, ossia le cellule.