"Come un altro, o Antifonte, si compiace di un bel cavallo, o di un cane, o di un uccello,
così e ancor di più, io traggo piacere dai buoni amici,
e se so qualcosa di buono.. lo insegno loro".


domenica 18 settembre 2016

#1 Riassunto: Maurice Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, 1945 - Premessa.

La fenomenologia è una filosofia trascendentale che si occupa dello studio delle ‘’essenze’’, ovvero delle strutture ultime e costanti della nostra esperienza. Per poter cogliere le essenze, la fenomenologia attua l’epochè (o riduzione fenomenologica): pone tra parentesi le affermazioni del atteggiamento naturalistico – i pregiudizi del senso comune – rendendo possibile l’accesso al ‘’trascendentale della coscienza pura’’, una dimensione di evidenze intuitivamente originarie. Il tentativo della fenomenologia è quello di riconquistare un rapporto di ingenuità col mondo, descrivendo la nostra esperienza così com’è, senza far riferimento alla sua genesi psicologica, storica, scientifica o culturale. Non a caso il compito che Husserl impartiva alla fenomenologia nascente era quello di ‘’ritornare alle cose stesse’’, di ritornare, cioè, a quel mondo anteriore alla conoscenza nei confronti del quale ogni determinazione scientifica o culturale è segnitiva e dipendente, esattamente come lo è la geografia nei confronti del paesaggio in cui abbiamo imparato cos’è un fiume o un lago. Tutto ciò che so, lo so a partire da una mia veduta, senza la quale i segni della scienza non significherebbero assolutamente nulla.

L’esigenza fenomenologica di una descrizione pura esclude sia il procedimento dell’analisi riflessiva che una spiegazione scientifica: Cartesio e Kant hanno separato soggetto ed oggetto, mostrando che non potrei cogliere nulla come esistente se non mi esperissi dapprima esistente nell’atto di coglierla, hanno cioè trattato la coscienza come la condizione senza la quale non ci sarebbe proprio nulla. Così facendo, entrambi hanno cessato di aderire all’esperienza.

In Cartesio il cogito è certezza ed evidenza immediata della mia esistenza. Io posso dubitare di tutto, finanche arrivando ad ipotizzare l’esistenza di un genio maligno che inganna i miei sensi. Non posso, però, dubitare del dubbio, perché se dubito di tutte le cose l’unica cosa certa è che io stia dubitando. Poiché il dubbio è una forma di pensiero, ‘’Cogito ergo sum’’: io esisto, quantomeno come res cogitans, ossia sostanza pensante e il cogito diviene il criterio di misurazione di ogni altra possibile certezza.

Per Kant l’uomo conosce il mondo attraverso categorie che appartengono al suo intelletto e pertanto il suo sapere del mondo si risolve in un sapere dell’Io.  Senza un Io Peno che unifichi le nostre rappresentazioni del mondo, esse non avrebbero senso. L’Io Penso è, in altre parole, l’imprescindibile condizione di possibilità della pensabilità del mondo.

In realtà, osserva Merleau-Ponty, il mondo è da descrivere e non da costruire o da costituire, il mondo non è ciò che io penso, ma ciò che io vivo: ‘‘Il mondo c’è’’ prima di ogni analisi che io possa farne. La percezione non può in alcun modo essere prodotto di sintesi intellettuali: in ogni momento il mio campo percettivo mi offre stimoli che io pongo direttamente al mondo senza connetterli precisamente al contesto. La percezione è lo sfondo dal quale si stacca ogni mio atto e ogni mio pensiero.

L’esigenza fenomenologica di una descrizione pura ammette solo il procedimento della riduzione fenomenologica che ci consente il ritorno ad una coscienza trascendentale dinnanzi alla quale il mondo si dispiega in una trasparenza assoluta, come insieme di significati di fenomeni complessi. Il senso del mondo emerge dall’intersezione delle mie esperienze con quelle dell’altro: le prospettive si incontrano, le percezioni si confermano, un senso appare. Una coscienza è definita dalla sua attività di significazione, io sono una coscienza perché qualcosa è ‘’per me’’ e non mi distinguo da una qualsiasi altra coscienza che è definita nella stessa maniera: tutte le coscienze sono presenze immediate in un mondo che è per definizione unico. Se io sono una coscienza esattamente come l’ ‘’altro’’, vuol dire che io sono ‘’per me’’ e sono necessariamente anche per l’ ‘’altro’’ e che l’ ‘’altro’’ non è solo ‘’per me’’ ma è prima di tutto per ‘’se’’.Affinché l’altro possa essere ‘’per me’’ e ‘’per sé’’ allo stesso tempo e affinché io possa essere ‘’per me’’ e ‘’per lui’’, io e l’altro dobbiamo essere la nostra esteriorità, ciascuno di noi deve, cioè, essere definito da una certa situazione. Il Cogito Cartesiano aveva allontanato la problematica dell’altro, insegnando che l’Io è accessibile solo ed esclusivamente al soggetto: IO ho certezza del mondo nella misura in cui IO penso il mondo. L’altro può essere solo ‘’per me’’ e nella misura in cui io lo penso. Attraverso la fenomenologia io mi scopro coscienza tra le coscienze, uomo tra gli uomini, ‘’essere al mondo’’.

Solo attraverso la riduzione fenomenologica, rompendo la nostra familiarità col mondo, noi riusciamo a renderci conto di quanto effettivamente siamo presi in esso e quanto esso sia paradossale. L’essenza del mondo che cogliamo sul piano trascendentale è ciò che esso è prima di ogni tematizzazione. È la percezione del mondo che fonda per sempre la mia idea della verità: le tematizzazioni non possono che essere successive a questa esperienza originaria. La percezione rappresenta, pertanto, la via d’accesso al senso del mondo nel suo stato nascente.


Le analisi classiche hanno fallito l’analisi del fenomeno della percezione perché lo hanno identificato con i suoi prodotti. Per chiarire cosa sia la percezione è necessario compiere una sorta di riduzione fenomenologica, liberarsi dei pregiudizi del senso comune e delle costruzioni della filosofia e ritornare ‘’alle cose stesse’’, ossia ai fenomeni.

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