"Come un altro, o Antifonte, si compiace di un bel cavallo, o di un cane, o di un uccello,
così e ancor di più, io traggo piacere dai buoni amici,
e se so qualcosa di buono.. lo insegno loro".


domenica 18 settembre 2016

#5 Riassunto: Maurice Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, 1945 - Il campo fenomenico.

Sulla base della credenza dogmatica di un mondo in sé l’empirismo aveva ridoto il sentire al possesso di qualità. Per contro, Herder ha fornito un’ottima definizione del sentire come esperienza che coglie le qualità di un oggetto nel suo significato per noi ed implica, pertanto, il costante riferimento ad un corpo, il nostro, che non è un oggetto tra gli oggetti ma incarnazione della mia coscienza e mezzo d’accesso al mondo: ecco quindi che per il fanciullo la visione della fiamma diviene repellente dopo essersi bruciato la mano. Il pregiudizio del mondo ha reso impossibile un’analisi appropriata del fenomeno percettivo, da una parte l’empirismo pretendeva di spiegare la percezione come corrispondenza tra stimolo e risposta, trattando il corpo come un oggetto tra gli oggetti in rado di tradurre in maniera esatta il mondo, dall’altra l’intellettualismo pretendeva di possedere la struttura intellegibile di ogni cosa in virtù di un pensiero costituente del mondo; il corpo non era che un oggetto tra gli oggetti, involucro della coscienza. È apparsa evidente la necessita di un ritorno ai fenomeni, della circoscrizione di un campo fenomenico che ci consenta la comprensione del fenomeno percettivo alla luce di quanto evidenziato da Herder.

Per secoli la scienza e la filosofia si sono fondate sulla credenza dogmatica in un mondo in sé. La scienza ha costituito un sistema di leggi sotto le quali ha ricondotto ogni fenomeno, ha stabilito le proprietà chimiche dei corpi, ha elaborato le nozioni di spazio geometrico e di spostamento puro, ha reso l’oggetto naturale un’unità ideale di proprietà, cosicché per la filosofia l’unico oggetto pensabile era proprio quello definito dai metodi della scienza. Le pretese evidenze scientifiche non hanno risparmiato neppure il corpo vivente, convertendolo in un oggetto tra gli oggetti, in una cosa senza interiorità. Le condotte dell’individuo furono ricondotte a meccanismi psicofisiologici e a relazioni di causa-effetto: una data situazione era capace di risvegliare le impressioni elementari di piacere e dolore; l’esecuzione di un gesto era completamente determinata dalla meccanica nervosa. Il corpo cessava di essere l’incarnazione di un io concreto e l’altro non poteva dunque che apparirmi come un oggetto dietro il quale si celava una coscienza trascendente ad esso e non abitante alcuno dei suoi movimenti. Tutti gli individui venivano reintegrati nell’in sé, l’unico per sé era quello dello scienziato che, in quanto osservatore, poteva descrivere questo sistema cessando di farvi parte. Questo modo di pensare, tuttavia, si distrugge da sé. La natura non è geometrica e ordinata in sé, così come gli esseri umani non sono esseri ragionevoli in sé, tutto ciò è tale solo agli occhi di un osservatore che si attiene a dati macroscopici o ad analisi necessariamente parziali. La scienza, nella sua pretesa di credersi compiuta, dimentica le proprie origini percettive ed è a quelle origini che si deve tornare se si vuole restituire agli oggetti la propria fisionomia concreta, agli organismi il loro proprio modo di trattare il mondo e alla soggettività la sua inerenza storica. È necessario tornare ai fenomeni, operare, cioè, entro il campo fenomenico per scoprire dietro di esso un campo trascendentale.

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