Sulla base della credenza dogmatica di un mondo in sé
l’empirismo aveva ridoto il sentire al possesso di qualità. Per contro, Herder
ha fornito un’ottima definizione del sentire come esperienza che coglie le
qualità di un oggetto nel suo significato per noi ed implica, pertanto, il
costante riferimento ad un corpo, il nostro, che non è un oggetto tra gli
oggetti ma incarnazione della mia coscienza e mezzo d’accesso al mondo: ecco
quindi che per il fanciullo la visione della fiamma diviene repellente dopo
essersi bruciato la mano. Il pregiudizio del mondo ha reso impossibile
un’analisi appropriata del fenomeno percettivo, da una parte l’empirismo
pretendeva di spiegare la percezione come corrispondenza tra stimolo e
risposta, trattando il corpo come un oggetto tra gli oggetti in rado di
tradurre in maniera esatta il mondo, dall’altra l’intellettualismo pretendeva
di possedere la struttura intellegibile di ogni cosa in virtù di un pensiero
costituente del mondo; il corpo non era che un oggetto tra gli oggetti,
involucro della coscienza. È apparsa evidente la necessita di un ritorno ai
fenomeni, della circoscrizione di un campo fenomenico che ci consenta la
comprensione del fenomeno percettivo alla luce di quanto evidenziato da Herder.
Per secoli la scienza e la filosofia si sono fondate sulla
credenza dogmatica in un mondo in sé. La scienza ha costituito un sistema di
leggi sotto le quali ha ricondotto ogni fenomeno, ha stabilito le proprietà chimiche
dei corpi, ha elaborato le nozioni di spazio geometrico e di spostamento puro,
ha reso l’oggetto naturale un’unità ideale di proprietà, cosicché per la
filosofia l’unico oggetto pensabile era proprio quello definito dai metodi
della scienza. Le pretese evidenze scientifiche non hanno risparmiato neppure
il corpo vivente, convertendolo in un oggetto tra gli oggetti, in una cosa
senza interiorità. Le condotte dell’individuo furono ricondotte a meccanismi
psicofisiologici e a relazioni di causa-effetto: una data situazione era capace
di risvegliare le impressioni elementari di piacere e dolore; l’esecuzione di
un gesto era completamente determinata dalla meccanica nervosa. Il corpo
cessava di essere l’incarnazione di un io concreto e l’altro non poteva dunque
che apparirmi come un oggetto dietro il quale si celava una coscienza
trascendente ad esso e non abitante alcuno dei suoi movimenti. Tutti gli
individui venivano reintegrati nell’in sé, l’unico per sé era quello dello
scienziato che, in quanto osservatore, poteva descrivere questo sistema
cessando di farvi parte. Questo modo di pensare, tuttavia, si distrugge da sé.
La natura non è geometrica e ordinata in sé, così come gli esseri umani non
sono esseri ragionevoli in sé, tutto ciò è tale solo agli occhi di un
osservatore che si attiene a dati macroscopici o ad analisi necessariamente
parziali. La scienza, nella sua pretesa di credersi compiuta, dimentica le
proprie origini percettive ed è a quelle origini che si deve tornare se si
vuole restituire agli oggetti la propria fisionomia concreta, agli organismi il
loro proprio modo di trattare il mondo e alla soggettività la sua inerenza
storica. È necessario tornare ai fenomeni, operare, cioè, entro il campo
fenomenico per scoprire dietro di esso un campo trascendentale.
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