Nella storia della biologia la vita non è sempre stata
considerata come una realtà autonoma e a sé stante, una forza scissa dalle sue
forme. Bisogna aspettare il ‘900, con Darwin e Nietzsche, affinché la vita
guadagni in autonomia e inizi ad esistere sul piano epistemologico.
La storia della biologica inizia propriamente con Linneo,
che ne è considerato a pieno diritto il padre e fondatore. Per Linneo la vita
come realtà autonoma non esiste, esiste solo un sistema statico di forme
viventi in cui si realizza la volontà del creatore, una totalità perfettamente
strutturata e compiuta in cui tutto e così – e non in un altro modo – in virtù
di un decreto divino.
Con Jean-Baptiste Lamarck l’insieme delle forme viventi
perde il carattere di staticità attribuitogli da Linneo acquisendo dinamicità,
senza tuttavia slegarsi da una prospettiva prettamente teologica. Lamarck parla
infatti di ‘’legge di sviluppo ’’: le forme viventi sono, cioè, unità sì da compiersi,
ma secondo un ordine prestabilito, proiettate verso uno scopo impostogli fin
dall’inizio da una forza estrinseca ad esse. Anche con Lamarck, in sostanza, le
forme viventi rimangono forme vuote sostanzializzate da una volontà eteronoma e
trascendentale e la vita come realtà autonoma non esiste ancora.
È con Darwin che, per la prima volta nella storia del
pensiero occidentale, viene meno l’idea di una natura statica o preordinata, ma
in ogni caso prevedibile. Nel 1835 un soggiorno di circa un mese presso le
isole Galapagos, in Ecuador, convinse Darwin dell’insufficienza della teoria di
Lamarck. Le somiglianze e le differenze riscontrate tra le forme animali nelle
diverse aree geografiche dell’arcipelago non erano tali da poter essere
giustificate solo sulla base di fattori ambientali esterni tali da aver
perturbato il loro sviluppo finalistico. Elaborando la sua teoria
dell’evoluzione per selezione naturale, Darwin avanzò l’ipotesi di una forza
autonoma operante dall’interno degli esseri viventi, una forza formante e
deformante veicolata dalla selezione naturale: la vita.
Fino alle scoperte di Darwin si era parlato di selezione nei
termini di una forza eliminativa che andava neutralizzando quegli organismi che
per qualche ragione si rivelavano lontani dalle forme perfette. Con Darwin,
venuta meno l’idea dell’esistenza di Ideal tipi, la selezione assume i
caratteri di una potenza creatrice, di un’attività selettiva che interviene a
vagliare il risultato del gioco combinato di variazione casuale e adattamento
premiando i successi, ossia le variazioni che hanno determinato un efficace
adattamento dell’organismo all’ambiente, con la creazione di nuovi tipi. La selezione
naturale sopravvive come forza degenerante nella misura in cui interviene sugli
organismi non in grado di adattarsi neutralizzandoli.
La selezione fu un nodo concettuale fondamentale anche nella
riflessione di Nietzsche il quale la integrò nel contesto di una nuova biologia
tesa a dimostrare l’inferiorità dei valori dominanti e la necessità del loro
superamento e della sperimentazione di nuove forme dell’umano. Al pari di
Darwin, seppure con esiti assai differenti, Nietzsche fu in grado di astrarre
la vita dagli esseri viventi come una forza unica in grado di spiegarne genesi,
trasformazione, degenerazione e rigenerazione. La vita è per Nietzsche uno
sforzo verso l’aumento di potenza, la vita è, in altre parole, ‘’volontà di
potenza’’, ossia volontà di vita.
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