LE MACCHINE.
Le macchine sono
sistemi hardware concreti, unità formate da un certo numero di componenti
caratterizzate da certe proprietà.
Alcune proprietà delle parti costituenti di una macchina sono rilevanti
nella misura in cui rendonopossibile per essa le interazioni e le
trasformazioni che la definiscono; tutte le altre proprietà delle componenti di
una macchina che non partecipano al suo funzionamento sono irrilevanti e
possono variare liberamente. Le relazioni esistenti tra le componenti di una
macchina, che la definiscono come unità e che determinano le interazioni e le
trasformazioni per essa possibili costituiscono l’organizzazione della
macchina. Le proprietà delle componenti di una macchina che la integrano in un
dato spazio costituiscono la struttura della macchina (forma, colore...). Una
macchina può essere realizzata con strutture assai diverse, l’importante, per
il suo corretto funzionamento, è che le relazioni tra le varie componenti siano
conservate secondo quanto prescritto dall’organizzazione della macchina. Le
macchine costruite dall’uomo sono sempre progettate per raggiungere un certo
scopo, il quale si realizza nel prodotto dell’operare della macchina. Lo scopo
o il fine di un sistema non definiscono in alcun modo l’organizzazione della
macchinaed esistono unicamente nel dominio descrittivo dell’osservatore che
vede la macchina operare trasformazioni entro il suo dominio cognitivo.
LE MACCHINE VIVENTI.
Analizzando
l’organizzazione degli esseri viventi e le proprietà che da essa emergono è
possibile mostrare come anche essi siano macchine.
Che tipo di macchine sono gli esseri
viventi?
MACCHINE AUTOPOIETICHE
Unamacchina
autopoietica è una macchina omeostatica che mantiene continuamente costante la
propria organizzazione in una rete di processi di produzione dei suoi propri
componenti, i quali, attraverso le loro interazioni e trasformazioni,
rigenerano e realizzano la stessa rete di processi che li ha prodotti e
costituiscono la macchina come un’unità concreta nello spazio fisico in cui i
componenti esistono, specificando il dominio topologico del sistema.
Una macchina
autopoietica, in quanto unità la cui organizzazione è definita dalla rete di
processi di produzione delle proprie componenti, differisce necessariamente da
altri tipi di unità la cui organizzazione è definita dai componenti stessi o
dalle relazioni statiche esistenti tra essi. Le macchine autopoietiche differiscono,
cioè, dalle macchine allopoietiche (costruite dall’uomo) e dalle entità fisiche
naturali.
In una macchina
allopoietica, per esempio un’automobile, l’organizzazione è data in termini di
concatenazione di processi che differiscono dai processi di produzione di
componenti, tipici dell’organizzazione autopoietica, nella misura in cui non
sono processi di produzione di componenti, dato che i componenti di
un’automobile sono prodotti dall’uomo esternamente ad essa. Le macchine di
questo tipo sono sistemi dinamici non autopoietici.
In un’unità
fisica naturale, ad esempio un cristallo, le relazioni spaziali tra i
componenti definiscono un’organizzazione a reticolo che inserisce quell’unità
all’interno di una classe morfologica particolare. Nelle macchine autopoietiche
le relazioni spaziali tra i componenti non possono in alcun modo costituire
elementi sufficienti a definire quella macchina come autopoietica, e questo
perché, essendo tali relazioni specificate dalla rete di processi di produzione
dei componenti che costituisce l’organizzazione del sistema, esse sono
necessariamente in continuo cambiamento. I cristalli sono statici.
Le conseguenze
dell’organizzazione delle macchine autopoietiche sono importantissime:
I)
Le
macchine autopoietiche sono autonome perché subordinano ogni cambiamento al
mantenimento della propria organizzazione. Le macchine allopoietiche non sono
autonome perché, essendo progettate per rispondere ad uno scopo imposto
dall’uomo, ogni cambiamento è in esse subordinato a qualcosa di diverso da loro
stesse.
II)
Le
macchine autopoietiche hanno individualità perché, mantenendo costante la
propria organizzazione in ogni momento, preservano un’identità indipendente
dalle interazioni con l’osservatore. Le macchine allopoietiche non hanno individualità
perché il loro operare in funzione di un prodotto diverso da loro stesse non
determina alcuna identità. L’identità delle macchine allopoietiche dipende
dall’osservatore.
III)
Le
macchine autopoietiche specificano i propri confini nei processi di autoproduzione
determinati dalla loro organizzazione. I confini delle macchine allopoietiche
sono definiti dall’osservatore che, specificando le superfici di input e output
della macchina, determina cosa le appartiene nelle sue operazioni e cosa no.
IV)
Le
macchie autopoietiche non hanno input né output. Esse possono essere perturbate
da eventi indipendenti e compensare tali perturbazioni attraverso cambiamenti interni
subordinati al mantenimento dell’organizzazione della macchina. Ogni relazione
tra questi cambiamenti e le perturbazioni che agiscono sulla macchina sta
esclusivamente entro il nostro dominio cognitivo.
La struttura di
una macchina autopoietica, ossia il modo in cui la sua organizzazione può
essere integrata nello spazio fisico, determina, a seconda delle proprietà dei
materiali che ne compongono le parti, le perturbazioni che essa può subire
senza disintegrarsi e perdere l’autopoiesi (senza perdere, cioè, quelle
relazioni tra le componenti che garantivano il mantenimento dell’organizzazione
del sistema). La struttura di una macchina autopoietica determina il dominio di
interazioni nel quale può essere osservata. Conseguenze:
I)
Come
osservatori possiamo descrivere le macchine autopoietiche come parte di un
sistema più grande che determina gli eventi indipendenti che la perturbano.
Possiamo considerare tali eventi perturbanti come input e i cambiamenti di
stato della macchina autopoietica come output. La macchina autopoietica
diventa, nel nostro dominio descrittivo, una macchina allopoietica.
II)
Come
osservatori possiamo analizzare una macchina autopoietica e trattare tutti i
suoi meccanismi interni come se fossero macchine allopoietiche, una volta
definite le loro superfici di input e output.
SISTEMI VIVENTI
I sistemi
viventi trasformano materia dentro sé stessi in modo tale che il prodotto del
loro operare è la loro propria organizzazione; inoltre se un sistema fisico è
autopoietico esso è vivente. I sistemi viventi sono con evidenza macchine
autopoietiche. Non tutti, in ogni caso, sono propensi ad accettare l’equivalenza
‘macchine autopoietiche – esseri viventi’, questo perché le macchine sono considerate artefatti umani con proprietà deterministiche
conosciute che li renderebbero perfettamente prevedibili, mentre i sistemi
viventi sono considerati autonomi e imprevedibili. Se i sistemi viventi fossero
macchine, allora si dovrebbe accettare l’idea che essi possano essere
progettati e costruiti dall’uomo. Una posizione simile sembrerebbe poggiare
sull’antica e ingenua convinzione che i sistemi viventi siano troppo complessi
per essere compresi e che i principi che li generano siano intrinsecamente
inconoscibili. Coloro che ritengono inconoscibile la natura della vita distinguono
un essere vivente in virtù del possesso di certe caratteristiche, specie le
capacità di evoluzione e riproduzione, ma, paradossalmente, rifiutano
l’autopoiesi come sistema concettuale in grado di integrare tutte quelle
caratteristiche. Si potrebbe anche
pensare che l’osservazione e l’esperienza siano più che sufficienti al fine di
distinguere un sistema vivente e che di fatto non vi sia alcun bisogno di
un’analisi teorica in proposito. In realtà nessuna osservazione e nessuna
esperienza possono avere senso al di fuori di un’analisi teorica nella quale
aver avuto luogo.
Tutta la fenomenologia dei
sistemi viventi dipende dall’autopoiesi.
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