"Come un altro, o Antifonte, si compiace di un bel cavallo, o di un cane, o di un uccello,
così e ancor di più, io traggo piacere dai buoni amici,
e se so qualcosa di buono.. lo insegno loro".


lunedì 19 settembre 2016

#8 Riassunto: Maurice Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, 1945 - Il corpo come essere sessuato.

Se vogliamo analizzare la genesi dell’“essere per noi’’, dobbiamo innanzitutto far riferimento a quel settore della nostra esperienza che più di tutti gli altri ha senso esclusivamente ‘’per noi’’, ossia l’ambiente affettivo. Secondo un’interpretazione assai diffusa, l’affettività corrisponderebbe ad un mosaico di piaceri e dolori chiusi in sé che possono essere compresi solo se posti in relazione alla particolare organizzazione anatomica dell’uomo. L’affettività sarebbe inoltre compenetrata di intelligenza, nel senso che semplici rappresentazioni visive sarebbero in grado di trasporre gli stimoli di piacere e dolore su situazioni naturalmente indifferenti per l’individuo. Secondo questa prima interpretazione, il soggetto sarebbe definito per la sua capacità di rappresentazione e l’affettività non sarebbe un modo originale di coscienza: i disturbi della sessualità sarebbero riconducibili alla mancanza di certe rappresentazioni o ad un indebolimento del piacere. Merleau-Ponty dimostra che nulla di tutto ciò è corretto. Il soggetto patologico affetto da sindrome di Schneider non intraprende mai di propria iniziativa un atto sessuale. Discorsi a sfondo sessuale, immagini oscene o la stessa percezione di un corpo femminile non destano in lui alcun desiderio, egli non bacia quasi mai e anzi il bacio ha perduto in lui il valore di un eccitante sessuale. Se i preliminari di un rapporto sono interrotti, il desiderio in lui vagamente abbozzato scompare, stessa cosa vale per l’interruzione del coito. Schneider manca totalmente di movimenti volontari se non negli istanti immediatamente precedenti l’orgasmo, che è, fra l’altro, di brevissima durata. Questa inerzia sessuale non è spiegabile nei termini di una mancanza di rappresentazioni, perché altrimenti non ci si spiegherebbe perché le stimolazioni tattili e le percezioni visive abbiano perso il loro significato erotico. È impensabile anche un indebolimento dei normali riflessi sessuali, semplicemente perché simili riflessi non esistono nell’uomo: se esistessero, se, cioè, l’oggetto sessuale interrogasse un organo anatomicamente definito, la lesione cerebrale all’origine del disturbo darebbe luogo non ad un’inibizione, ma ad una liberazione di tali automatismi, dando luogo ad un comportamento sessuale accentuato. La malattia evidenzia, invece, una zona vitale del soggetto in cui vengono elaborate le sue possibilità motorie, intellettive, percettive e sessuali. Deve esistere una funzione immanente alla vita sessuale del soggetto, tale da orientarla in maniera ‘’normale’: una sorta di eros o una libido che diano significato agli stimoli esterni. In Schneider l’esperienza erotica e la percezione sono alterate: per un soggetto normale un corpo non è un oggetto come gli altri, esso è sotteso da uno schema sessuale che ne individua le zone erogene, una fisionomia sessuale e che implica i movimenti tipici del corpo maschile. Per Schneider, invece, i corpi femminili non differiscono in nulla e una donna gli appare più o meno attraente in relazione alla qualità delle attenzioni che gli riserva. La percezione di Schneider ha perduto la sua struttura erotica, o meglio, in Schneider è venuta meno la capacità di darsi una situazione erotica. Il fatto che le stimolazioni tattili e le percezioni visive abbiano perso il loro significato sessuale dipende dal fatto che queste hanno smesso di parlare al suo corpo, di coinvolgerlo. La sessualità, pertanto, emerge come intenzionalità originale che, come la motilità, l’intelligenza e la percezione, poggia sull’arco intenzionale che sottende la vita della nostra coscienza e che fa sì che noi siamo situati rispetto a tutti questi rapporti. Anche per la psicanalisi il sessuale non corrisponde al genitale: la vita sessuale, cioè, non è l’effetto di processi che hanno luogo entro gli organi genitali e la libido non è un istinto. Non è, cioè, un’attività naturalmente orientata verso fini definiti, ma quella capacità propria dell’essere psicofisico di aderire ad ambienti diversi e di fissarsi attraverso differenti esperienze, di acquisire delle strutture di condotta. La libido fa sì che il soggetto abbia una storia, e se nella storia sessuale di un individuo rinveniamo la chiave di lettura di tutta la sua vita è perché nella sessualità si riflette tutto il suo modo di approcciarsi al mondo e ai propri simili. Quando diciamo che la sessualità e lo psichismo sono in un rapporto di espressione reciproca o che ogni evento corporeo significa sempre un evento psichico, non intendiamo dire che il corpo sia l’involucro dello spirito, è sufficiente chiarire le nozioni di ‘’espressione’’ e ‘’significato’’ per rendercene conto. Una bimba che dopo l’esperienza di un terremoto manifesta un certo periodo di afonia, in età adulta manifesterà lo stesso disturbo al divieto materno di frequentare il ragazzo di cui è innamorata. Un’interpretazione strettamente freudiana di questo fenomeno lo ricondurrebbe alla fase orale dello sviluppo sessuale. Merleau-Ponty osserva che sulla bocca non si fissa solo la vita sessuale del soggetto, ma anche e soprattutto la relazione con l’altro che è veicolata dalla parola. Il manifestarsi dell’afonia esprime la volontà del soggetto di sottrarsi alla coesistenza familiare e di sottrarsi alla vita. Nell’infanzia la coesistenza era stata messa da parte perché il terrore della morte aveva posto sotto gli occhi del soggetto il suo destino individuale. L’afasia insorge nuovamente perché il divieto materno rappresenta la medesima situazione in senso figurato. L’evento corporeo significa l’evento psichico così come la statuetta di cera nel rito magico significa ciò che rappresenta. La malata non mima una condizione della sua coscienza così come farebbe un amico arrabbiato che decide di non salutarmi quando mi incontra per strada. Essere afono non significa tacere, perché il tacere presuppone che il soggetto sia in grado di parlare. La malata non smette di parlare ma perde la parola. Se vedo un amico per strada posso decidere di parlargli o non rivolgergli la parola, un afono, invece, smette addirittura di concepire l’amico come potenziale interlocutore e perde allo stesso tempo la capacità di parlare e di rimanere in silenzio, perché il silenzio presupporrebbe la possibilità di parlare. Nella malattia il passato, il presente e il futuro e l’altro si bloccano su un fatto corporeo e il corpo diventa il nascondiglio della vita, che si chiude su sé stessa. Anche un soggetto normale, in quanto possiede un corpo, conserva la capacità di sottrarsi alla vita. Io sono immerso in un mondo, con i miei obiettivi e i miei compiti, con i miei amici e i miei impegni, ma posso sempre distendermi, chiudere gli occhi e chiudermi in quel piacere o in quel dolore, in quella dimensione anonima che si nasconde al di sotto della mia vita personale. Ma proprio perché tramite il corpo io posso chiudermi ad un mondo, tramite lo stesso corpo io posso aprirmi al mondo e pormi in situazione. Per quanto possa chiudermi in me stesso, io non divengo mai un oggetto tra gli oggetti del mondo. Qualche intenzione si delinea sempre e la mia esistenza corporea mi propone continuamente di vivere, cosicché il movimento dell’esistenza può riprendere continuamente: il corpo esprime l’esistenza così come la parola esprime il pensiero. Quando si dice che la sessualità ha un significato esistenziale o che essa esprime l’esistenza, non si intende che la sessualità è una semplice manifestazione dell’esistenza o viceversa, c’è osmosi tra sessualità ed esistenza ed entrambi si diffondono l’una nell’altra. La sessualità è una manifestazione, semmai, dell’ambiguità del corpo che è contemporaneamente oggetto per l’altro e soggetto per me. Si tratta di una dialettica io - l’altro del tipo hegeliano servo-padrone: un uomo, solitamente, non mostra il proprio corpo e quando lo fa, lo fa con timore o con l’intento di affascinare: o si è schiavi o si è signori dell’altro. In quanto io ho un corpo, posso essere un oggetto agli occhi dell’altro e non contare più come una persona o posso guardarlo io come un oggetto, diventandone signore e annullando allo stesso tempo il mio desiderio di essere riconosciuto come soggetto, perché l’altro si disperde dinnanzi al mio sguardo alla maniera di una cosa e nessun riconoscimento è più possibile. Cerco di essere visto come soggetto e sono visto come oggetto.

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