Quid tibi nobiscum est, ludi scelerate magister,
invisum pueris virginibusque caput?
Nondum cristati rupere silentia galli:
murmure iam saevo verberibusque tonas.
Tam grave percussis incudibus aera resultant,
causidicum medio cum faber aptat equo;
mitior in magno clamor furit anphitheatro,
vincenti parmae cum sua turba favet.
Vicini somnum non tota nocte rogamus:
nam vigilare leve est, pervigilare grave est.
Discipulos dimitte tuos. Vis, garrule, quantum
accipis ut clames, accipere ut taceas?
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Cosa hai a che fare con noi, scellerato maestro,
uomo inviso ai fanciulli e alle fanciulle?
I galli dalle ritte creste non hanno ancora rotto il
silenzio:
già tu tuoni con un molesto strepito e con sferzate.
Tanto cupamente risuonano i bronzi percossi sulle incudini,
quando il fabbro sistema a metà di un cavallo (la statua di)
un avvocato;
più mite il clamore furoreggia nel grande anfiteatro,
quando la sua folla acclama il gladiatore vincente
Noi vicini chiediamo - non per tutta la notte - di dormire:
infatti stare svegli è cosa tollerabile, ma starlo a lungo è
cosa insopportabile.
Lascia andare i tuoi allievi. Vuoi, o chiacchierone,
ricevere
per
tacere quanto ricevi per gridare?
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