Sia l’empirismo che l’intellettualismo, fondando le proprie
analisi sul pregiudizio dell’esistenza di un mondo in sé, si sono rivelati
incapaci di esprimere la maniera particolare con cui percepiamo. Analizzando
l’evoluzione del concetto di attenzione appare chiaro che né l’uno né l’altro
abbiano aderito al fenomeno percettivo, ma che anzi ve ne siano allontanati.
L’empirismo deduce il concetto di attenzione dall’ipotesi di
costanza fisiologistica (e quindi dalla priorità del mondo oggettivo), secondo
cui esisterebbe una corrispondenza puntuale tra lo stimolo e la percezione
elementare. Quando l’ipotesi di costanza non si rivela efficace, come nel caso
dell’illusione di Muller-Lyer, in cui due segmenti di retta congruenti vengono
percepiti come disuguali se alle rispettive estremità vengono aggiunti
adeguatamente elementi obliqui, l’empirismo introduce la nozione di attenzione:
attraverso l’attenzione io riuscirei a percepire i due segmenti di retta come
effettivamente congruenti e in definitiva confermerei l’ipotesi di costanza.
L’attenzione è quindi per gli empiristi un faro che illumina oggetti
preesistenti nell’ombra.La coscienza dell’empirismo non costituisce nulla e
l’attenzione è un potere astratto e inefficace, una luce che è la stessa per
ogni atto di attenzione e si dirige indifferentemente su tutti i contenuti di
coscienza. La coscienza empirista è troppo povera e l’empirismo non comprende
che dobbiamo sapere cosa stiamo cercando, altrimenti non lo cercheremmo.
L’intellettualismo
muove dalla fecondità dell’attenzione, giacché, per mezzo di essa, io sarei in
grado di scoprire la verità dell’oggetto. Il nuovo aspetto dell’oggetto,
scoperto attraverso l’attenzione, subordina a sé quello vecchio ed esprime
tutto ciò che esso voleva dire. Se osservo un piatto vedo in esso un piatto
finché il mio atto di percezione è un atto di percezione disattenta. Quando la
mia attenzione si dirige sul patto e compio un atto di percezione attenta, io
ritrovo nel piatto la fisionomia di un cerchio: l’attenzione porta alla luce la
struttura intellegibile dell’oggetto che la coscienza del soggetto vi aveva
posto e me ne fa scoprire la verità in un passaggio dalla confusione alla
chiarezza. La coscienza dell’intellettualismo costituisce tutto, poiché
possiede la struttura intellegibile di tutti i suoi oggetti. L’attenzione è un
potere inefficace, non ha nulla da fare. La coscienza intellettualista è troppo
ricca perché un qualche fenomeno possa sollecitarla e l’intellettualismo non
comprende che dobbiamo ignorare ciò che stiamo cercando, altrimenti non avremmo
bisogno di cercarlo.
L’empirismo e l’intellettualismo hanno quindi in comune il
fatto che l’attenzione non crea nulla, poiché la coscienza o è troppo povera, o
è troppo ricca.
La psicologia muove una critica radicale nei confronti della
credenza dogmatica del mondo, considerato come realtà in sé dagli empiristi e
come determinazione del pensiero dagli intellettualisti. L’attenzione
presuppone una nuova maniera per la coscienza di essere presente ai suoi
oggetti: è noto, ad esempio, che la percezione dei colori nei primi nove mesi
di vita dei bambini è limitata alla capacità di distinzione tra cromatico e
acromatico, In seguito i colori si distinguono in tinte calde e fredde e infine
si giunge al dettaglio dei colori. La prima percezione dei colori propriamente
detti costituisce un vero e proprio mutamento di struttura della coscienza, lo
stabilirsi di una nuova dimensione della coscienza, il dispiegarsi di un a
priori. Fare attenzione significa realizzare un’articolazione nuova di dati
preesistenti, costituire un oggetto nuovo che esplicita e tematizza ciò che
prima era offerto solo a titolo di orizzonte indeterminato, poiché,
nell’esempio citato, solo una volta aver acquisito il colore come qualità è
possibile considerare i dati anteriori come preparazioni delle qualità.
L’intellettualismo definisce il giudizio come ciò che manca
alla sensazione per rendere possibile una percezione. Quando vedo due uomini
camminare per strada, fuori dalla mia finestra, coperti da mantelli e cappelli,
la loro immagine non può imprimersi sulla mia retina, io non li vedo… ma
giudico che essi sono là. Per gli empiristi la percezione era data
dall’imprimersi sul corpo di uno stimolo reale, ma in questo caso, in assenza
di stimoli reali, la mia percezione dei due uomini non è un risultato
dell’ipotesi di costanza. Per gli intellettualisti percepire è giudicare: la
percezione diviene, cioè, un’interpretazione che lo spirito fa per spiegarsi le
sue impressioni. In realtà, però, il giudizio, introdotto per spiegare
l’eccedere della percezione sulle impressioni retiniche, non è la percezione
stessa, ma un fattore della percezione incaricato di fornire ciò che non
fornisce il corpo. Percepire non è giudicare, ma cogliere un senso immanente
all’oggetto prima di ogni giudizio.
Sia l’empirismo che l’intellettualismo conservano
l’atteggiamento dogmatico nei confronti del mondo. L’empirismo credeva
nell’esistenza di un mondo in sé, l’intellettualismo credeva in un pensiero del
mondo che me ne garantiva la verità e realtà. Si passa da un oggettivismo
assoluto ad un soggettivismo assoluto ma si conserva la fede nei confronti di
una percezione senza critica. Tutte le filosofie che assumono come punto di
partenza della conoscenza uno dei suoi risultati, devono essere condannate e
invitare ad un ritorno ai fenomeni. Io non percepisco la distanza tra me ed un
oggetto attraverso le sue dimensioni apparenti o attraverso gli oggetti
interposti tra me e quell’oggetto: tutti questi elementi non sono segni o
ragioni della mia percezione della distanza, e sono conosciuti solo se io mi
distolgo dall’oggetto e mi concentro su di essi in un atto di percezione
analitica. La distanza tra me e l’oggetto è percepita prima di ogni giudizio
che possa nascere dalla presenza di elementi tra me e l’oggetto, perché dal
quadro complessivo emerge un senso che ‘’motiva’’ la mia percezione.
Nessun commento:
Posta un commento