"Come un altro, o Antifonte, si compiace di un bel cavallo, o di un cane, o di un uccello,
così e ancor di più, io traggo piacere dai buoni amici,
e se so qualcosa di buono.. lo insegno loro".


domenica 18 settembre 2016

#4 Riassunto: Maurice Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, 1945 - Attenzione e giudizio.

Sia l’empirismo che l’intellettualismo, fondando le proprie analisi sul pregiudizio dell’esistenza di un mondo in sé, si sono rivelati incapaci di esprimere la maniera particolare con cui percepiamo. Analizzando l’evoluzione del concetto di attenzione appare chiaro che né l’uno né l’altro abbiano aderito al fenomeno percettivo, ma che anzi ve ne siano allontanati.
L’empirismo deduce il concetto di attenzione dall’ipotesi di costanza fisiologistica (e quindi dalla priorità del mondo oggettivo), secondo cui esisterebbe una corrispondenza puntuale tra lo stimolo e la percezione elementare. Quando l’ipotesi di costanza non si rivela efficace, come nel caso dell’illusione di Muller-Lyer, in cui due segmenti di retta congruenti vengono percepiti come disuguali se alle rispettive estremità vengono aggiunti adeguatamente elementi obliqui, l’empirismo introduce la nozione di attenzione: attraverso l’attenzione io riuscirei a percepire i due segmenti di retta come effettivamente congruenti e in definitiva confermerei l’ipotesi di costanza. L’attenzione è quindi per gli empiristi un faro che illumina oggetti preesistenti nell’ombra.La coscienza dell’empirismo non costituisce nulla e l’attenzione è un potere astratto e inefficace, una luce che è la stessa per ogni atto di attenzione e si dirige indifferentemente su tutti i contenuti di coscienza. La coscienza empirista è troppo povera e l’empirismo non comprende che dobbiamo sapere cosa stiamo cercando, altrimenti non lo cercheremmo.
 L’intellettualismo muove dalla fecondità dell’attenzione, giacché, per mezzo di essa, io sarei in grado di scoprire la verità dell’oggetto. Il nuovo aspetto dell’oggetto, scoperto attraverso l’attenzione, subordina a sé quello vecchio ed esprime tutto ciò che esso voleva dire. Se osservo un piatto vedo in esso un piatto finché il mio atto di percezione è un atto di percezione disattenta. Quando la mia attenzione si dirige sul patto e compio un atto di percezione attenta, io ritrovo nel piatto la fisionomia di un cerchio: l’attenzione porta alla luce la struttura intellegibile dell’oggetto che la coscienza del soggetto vi aveva posto e me ne fa scoprire la verità in un passaggio dalla confusione alla chiarezza. La coscienza dell’intellettualismo costituisce tutto, poiché possiede la struttura intellegibile di tutti i suoi oggetti. L’attenzione è un potere inefficace, non ha nulla da fare. La coscienza intellettualista è troppo ricca perché un qualche fenomeno possa sollecitarla e l’intellettualismo non comprende che dobbiamo ignorare ciò che stiamo cercando, altrimenti non avremmo bisogno di cercarlo.
L’empirismo e l’intellettualismo hanno quindi in comune il fatto che l’attenzione non crea nulla, poiché la coscienza o è troppo povera, o è troppo ricca.
La psicologia muove una critica radicale nei confronti della credenza dogmatica del mondo, considerato come realtà in sé dagli empiristi e come determinazione del pensiero dagli intellettualisti. L’attenzione presuppone una nuova maniera per la coscienza di essere presente ai suoi oggetti: è noto, ad esempio, che la percezione dei colori nei primi nove mesi di vita dei bambini è limitata alla capacità di distinzione tra cromatico e acromatico, In seguito i colori si distinguono in tinte calde e fredde e infine si giunge al dettaglio dei colori. La prima percezione dei colori propriamente detti costituisce un vero e proprio mutamento di struttura della coscienza, lo stabilirsi di una nuova dimensione della coscienza, il dispiegarsi di un a priori. Fare attenzione significa realizzare un’articolazione nuova di dati preesistenti, costituire un oggetto nuovo che esplicita e tematizza ciò che prima era offerto solo a titolo di orizzonte indeterminato, poiché, nell’esempio citato, solo una volta aver acquisito il colore come qualità è possibile considerare i dati anteriori come preparazioni delle qualità.
L’intellettualismo definisce il giudizio come ciò che manca alla sensazione per rendere possibile una percezione. Quando vedo due uomini camminare per strada, fuori dalla mia finestra, coperti da mantelli e cappelli, la loro immagine non può imprimersi sulla mia retina, io non li vedo… ma giudico che essi sono là. Per gli empiristi la percezione era data dall’imprimersi sul corpo di uno stimolo reale, ma in questo caso, in assenza di stimoli reali, la mia percezione dei due uomini non è un risultato dell’ipotesi di costanza. Per gli intellettualisti percepire è giudicare: la percezione diviene, cioè, un’interpretazione che lo spirito fa per spiegarsi le sue impressioni. In realtà, però, il giudizio, introdotto per spiegare l’eccedere della percezione sulle impressioni retiniche, non è la percezione stessa, ma un fattore della percezione incaricato di fornire ciò che non fornisce il corpo. Percepire non è giudicare, ma cogliere un senso immanente all’oggetto prima di ogni giudizio.

Sia l’empirismo che l’intellettualismo conservano l’atteggiamento dogmatico nei confronti del mondo. L’empirismo credeva nell’esistenza di un mondo in sé, l’intellettualismo credeva in un pensiero del mondo che me ne garantiva la verità e realtà. Si passa da un oggettivismo assoluto ad un soggettivismo assoluto ma si conserva la fede nei confronti di una percezione senza critica. Tutte le filosofie che assumono come punto di partenza della conoscenza uno dei suoi risultati, devono essere condannate e invitare ad un ritorno ai fenomeni. Io non percepisco la distanza tra me ed un oggetto attraverso le sue dimensioni apparenti o attraverso gli oggetti interposti tra me e quell’oggetto: tutti questi elementi non sono segni o ragioni della mia percezione della distanza, e sono conosciuti solo se io mi distolgo dall’oggetto e mi concentro su di essi in un atto di percezione analitica. La distanza tra me e l’oggetto è percepita prima di ogni giudizio che possa nascere dalla presenza di elementi tra me e l’oggetto, perché dal quadro complessivo emerge un senso che ‘’motiva’’ la mia percezione.

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